Assemblea nazionale in Francia - foto via Getty Images

Verso le legislative

La Francia alla conta. Ma il fronte popolare della gauche si forma a fatica

Mauro Zanon

Non solo a destra: anche a sinistra i partiti stanno cercando di formare le alleanze in vista delle elezioni. Ma a tracciare le divisioni tra socialisti, comunisti e la France insoumise c'è il 7 ottobre, la guerra in Ucraina, i collegi elettorali e il nome del candidato a diventare prossimo primo ministro

Parigi. Il clamore suscitato dall’annuncio a sorpresa di un’alleanza tra i Républicains, il partito gollista, e il Rassemblement national, il principale partito sovranista francese, ha fatto dimenticare in questi giorni post elezioni europee i movimenti e le negoziazioni in corso a sinistra per creare un fronte unico e compatto in vista delle elezioni legislative dei prossimi 30 giugno e 7 luglio. Lunedì sera, al termine di un incontro durato diverse ore, la lista Partito socialista-Place Publique guidata da Raphaël Glucksmann, il Partito comunista, Europe Écologie Les Verts e La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il partito della sinistra radicale, avevano annunciato candidature uniche in ogni collegio elettorale, un “programma di rottura”, la volontà di costruire “un’alternativa a Emmanuel Macron” e “combattere il progetto razzista dell’estrema destra” attraverso la creazione di “un nuovo Fronte popolare”. Ma l’entusiasmo delle prime ore ha lasciato rapidamente spazio alle tensioni.
 

Secondo quanto riportato ieri da Libération, le trattative tra le varie forze della sinistra coinvolte nel progetto del “nuovo Fronte popolare”, sono state infatti sospese per quasi tre giorni in ragione di divergenze insanabili sul linguaggio utilizzato per descrivere i massacri di Hamas del 7 ottobre. Del resto, è proprio questo tema che ha fatto implodere la Nupes, l’alleanza delle sinistre in Parlamento guidata da Mélenchon che si era formata subito dopo le legislative del 2022. “Alle 6 di questa mattina ero molto preoccupato. Alle 9 ero molto, molto preoccupato… Avevo paura che non ce l’avremmo fatta”, ha ammesso ieri a Tf1 il leader dei comunisti Fabien Roussel. “Ora sono molto più ottimista, penso che riusciremo a mantenere il nostro impegno”, ha aggiunto Roussel, pur ammettendo che il rischio di fallimento non può ancora essere escluso. I colloqui tra i rappresentanti delle sinistre sono ripartiti nel pomeriggio di ieri. “Tutto procede bene”, ha commentato il coordinatore nazionale della France insoumise, Manuel Bompard. “C’è un vero passo in avanti nelle negoziazioni”, ha detto all’Afp un rappresentante del Partito socialista. Ma è tutto da vedere.
 

Oltre alla questione del 7 ottobre, i negoziatori della gauche si sono scontrati sul tema dell’antisemitismo, diventato ancor più di attualità da quando Glucksmann ha pubblicato le foto dei suoi manifesti elettorali vandalizzati con svastiche e insulti antisemiti. L’entourage del capolista dei socialisti, secondo quanto riferito da Libération, avrebbe chiesto chiarimenti e rassicurazioni, soprattutto alla France insoumise, il partito che dal 7 ottobre si è sempre rifiutato di condannare Hamas come “organizzazione terroristica” e il cui leader, Mélenchon, ha dichiarato che in Francia l’antisemitismo è un problema “marginale”. In particolare, gli emissari mandati da Glucksmann a negoziare avrebbero posto come conditio sine qua non per la firma che gli eurodeputati del Fronte popolare si impegnino a seguire una formazione sull’antisemitismo. “Non ci sono sorprese sui punti di tensione, era prevedibile. Gli Insoumis stanno facendo delle concessioni, ma sui punti difficili non si muovono”, ha dichiarato a Libé in forme anonima un partecipante delle negoziazioni.
 

Le posizioni non collimano nemmeno sulla questione ucraina e su quella delle violenze sessuali e sessiste. Su quest’ultimo punto, pesa l’investitura di Adrien Quatennens, deputato e scudiero di Mélenchon che è stato condannato per violenze domestiche, ma anche quella dell’ecologista Julien Bayou, sotto inchiesta per violenze psicologiche contro la sua ex compagna. Poi, c’è la questione scottante dei collegi elettorali da suddividere tra le diverse forze e del candidato futuro primo ministro da proporre in caso di maggioranza all’Assemblea nazionale. Le trattative sulle circoscrizioni sono “in fase di stallo perché gli Insoumis non sono in una logica di vittoria, non vogliono darci le circoscrizioni in cui Glucksmann è in testa, perché il loro obiettivo non è il successo collettivo del Fronte popolare, ma avere il gruppo più grande in modo che Mélenchon possa essere primo ministro”, ha spiegato a Libération in forma anonima un esponente socialista. Sono tre, inoltre, a sentirsi pronti a salire a Matignon, ossia a guidare un potenziale governo di coabitazione: Jean-Luc Mélenchon, il suo collega di partito François Ruffin e il presidente dei comunisti Fabien Roussel. Glucksmann ha proposto il nome di Laurent Berger, ex leader del sindacato riformista Cfdt, “l’antitesi”, secondo le parole del capolista dei socialisti, di Emmanuel Macron