L'ipocrisia filo palestinese dell'Occidente
Gli otto mesi nell'inferno del sottosuolo degli israeliani rapiti da Hamas
Manifestazioni nei campus e proteste da parte di molti dipendenti delle principali istituzioni comunitarie. Ma, al contempo, si ignorano le atrocità subite dagli ostaggi che, talvolta, sono stati condannati all'oblio
Pochi giorni fa duecento dipendenti delle istituzioni europee a Bruxelles hanno protestato contro Israele definendosi “funzionari contro il genocidio”. Nessuno di loro ha chiesto il rilascio degli ostaggi di Hamas. “Negli ultimi otto mesi queste persone sono state quasi del tutto dimenticate” scrive Jake Wallis Simons sul Telegraph. “Conoscete i loro nomi? Riconoscereste le loro foto se apparissero sui manifesti a Londra?”. A Milano, un mese dopo il 7 ottobre, a una manifestazione filo palestinese prese la parola un’attivista: “Oggi sono molto contenta, perché pensavano di poter prendere gli ostaggi con la forza. E invece hanno fatto quello volevano i palestinesi. Hanno dovuto fermare i bombardamenti per avere i loro prigionieri di guerra”. Duecento civili catturati come selvaggina erano diventati “prigionieri”. Strano destino, quello degli ostaggi israeliani, venticinque dei quali in possesso di un passaporto straniero, di cui i rispettivi paesi è come se si fossero dimenticati di loro. Una delle scene più famose dell’Iliade è quella in cui Priamo chiede ad Achille di restituire il corpo del figlio caduto Ettore. Per Israele, vale il contrario: condanna morale se cerca di riportare a casa i propri rapiti e caduti.
Questa settimana il ministro degli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha condannato Israele per il blitz a Nuseirat, nel centro di Gaza, grazie al quale sono stati liberati quattro ostaggi israeliani (Noa Argamani, Almog Meir Jan, Shlomi Ziv e Andrey Kozlov) dopo che per mesi Israele aveva riportato a casa soltanto corpi di ostaggi (morti). Borrell ha attaccato Israele per “un altro massacro di civili”. E Francesca Albanese, inviata dell’Onu per i territori palestinesi, si è felicitata per gli ostaggi “released”: rilasciati.
Chi ricorda i nomi di Marcel Fontaine, Marcel Carton, Jean-Paul Kaufmann e Michel Seurat? Erano “gli ostaggi francesi del Libano”, sociologi, giornalisti, diplomatici, rapiti da Hezbollah, la stessa milizie ausiliarie dell’Iran contro cui combatte Israele. Il fatto che non siano stati abbandonati al loro destino, condannati al baratro dell’oblio, ha molto a che fare con l’esito positivo di quella vicenda. L’informazione instillava nell’opinione pubblica la sensazione della prova che stavano sopportando. La campagna mediatica fu impeccabile ed è durata due anni, giorno dopo giorno, fino alla loro liberazione nel 1988, a eccezione di Seurat, che morì in cattività. Ben diversa la sorte dei duecento israeliani.
Agam Goldstein-Almog è una ragazza israeliana che è stata per due mesi nelle mani di Hamas. A Gaza è stata costretta a indossare un velo completo e un abito lungo, le è stato imposto di guardare sempre a terra, è stata costretta a recitare le preghiere islamiche e i terroristi le hanno dato un nome tratto dal Corano: “Salsabil”. Anche gli ostaggi salvati nell’operazione al Nuseirat di Gaza hanno riferito di essere stati sottoposti a “lavaggio del cervello”, con i terroristi che li hanno costretti a leggere il Corano e a studiare le norme islamiche. Ad Amit Soussana è andata peggio. Una volta liberata, Amit ha raccontato di essere stata tenuta in ostaggio nella camera da letto di un bambino a Gaza con una catena alla caviglia. Il terrorista incaricato di sorvegliarla, “Muhammad”, di tanto in tanto si sedeva accanto a lei sul letto, le sollevava la maglietta e la palpeggiava. Muhammad le chiedeva del ciclo mestruale, se si era lavata e quando sarebbe finito. Una mattina, Muhammad le slacciò la catena alla caviglia in modo che potesse lavarsi nella vasca da bagno. Poi è tornato con una pistola. “Mi ha puntato la pistola alla fronte”. L’ha trascinata nella stanza del bambino, ricoperta di immagini di SpongeBob. “Poi, con la pistola puntata, mi ha costretto a commettere un atto sessuale”.
Alcuni sono stati rapiti in condizioni di estrema violenza, altri sono stati testimoni del massacro di familiari e amici, i bambini sono stati spesso separati dai genitori o hanno assistito alla loro uccisione. La loro alimentazione dipende dalle guardie. Le donne che erano trattenute con i loro figli davano il cibo ai bambini. Non hanno accesso all’acqua corrente, secondo le testimonianze degli ostaggi rilasciati. Ad alcuni è stata data da bere acqua di pozzo inquinata, causando problemi gastrointestinali, diarrea e vomito. Le loro condizioni igienico-sanitarie sono terribili, con gruppi di ostaggi costretti a condividere un bagno senza acqua. “Siamo tornati ai tempi delle liste degli ebrei” scrive sul Point Alain Jakubowicz. “Alla fine, chi decide? Chi stila le liste? Chi dà il pollice in su o il pollice giù, chi rilascia salvacondotti e permessi di soggiorno? Coloro che hanno seminato morte”.
In un tunnel, l’esercito lì ha trovato i disegni realizzati da Emilia Aloni, sei anni, liberata a novembre. E cinque gabbie dove sono stati tenuti fino a venti ostaggi per volta, con poco ossigeno e molta umidità. Noa Argamani era tenuta in ostaggio da un giornalista, da suo padre medico e dal resto della famiglia (tutti uccisi durante il blitz). Abdullah al Jamal pubblicava articoli in inglese su Palestine Chronicle. Per sei mesi Noa e tre uomini hanno vissuto in un’unica stanza buia, su piccoli materassi stesi per terra. Il loro unico contatto con il mondo esterno veniva dalle guardie che portavano il cibo e abusavano di loro. Potevano sentire la famiglia palestinese che viveva al piano di sotto, compresi i bambini, ma non li hanno mai incontrati. La Cnn ha riportato la valutazione di uno dei medici che li hanno in cura, Itai Pessach dello Sheba Medical Center, secondo cui sono stati picchiati e soffrono di grave malnutrizione. “Non avevano proteine, i loro muscoli sono estremamente deperibili”, ha detto Pessach, aggiungendo che “ci sono stati periodi in cui non ricevevano quasi alcun cibo”.
Un nutrizionista dello Sheba che li ha in cura ha detto che soffrono di grave malnutrizione e che li attende una lunga riabilitazione. “Hanno mangiato un decimo di quello che dovrebbero dovuto”. Mittal Binyamin, nutrizionista clinico dello Sheba Hospital di Tel Hashomer che li ha in cura, ha spiegato in un’intervista a Walla: “Ciò che accade al corpo in una situazione del genere è che deve abbattere le riserve disponibili, i muscoli. Quando sono tornati, erano molto impoveriti in termini di muscoli. Nel corpo non erano rimasti muscoli, solo pelle flaccida; tutto era andato. Le conseguenze di ciò potrebbero essere danni agli organi interni; è probabile che se fossero stati più a lungo ostaggio avremmo visto lesioni al muscolo cardiaco e dal punto di vista neurologico”. Chi resta nei tunnel, a cosa andrà incontro?
Shlomi Ziv ha detto che i suoi rapitori lo facevano pregare ogni giorno. Pessah, il cui team ha esaminato molti ostaggi liberati, racconta: “Abbiamo sentito e visto prove di abusi sessuali in una parte significativa delle persone che abbiamo trattato”. Pessah ha affermato che gli ostaggi sono stati sottoposti a torture psicologiche (come sentirsi dire che “Israele non esiste più”). “Quello che mi ha veramente colpito è quanto fossero preparati i terroristi di Hamas riguardo al tormento psicologico. Era strutturato e pianificato in anticipo. Dicono costantemente: ‘Nessuno si preoccupa per te. Sei qui da solo. Senti le bombe cadere? A loro non importa di te. Siamo qui per proteggerti’. E questo ha davvero giocato con le loro menti. Ci sono stati alcuni episodi in cui hanno separato due membri della famiglia, e poi li hanno rimessi insieme, poi li hanno separati, poi li hanno rimessi insieme. Abbiamo sentito storie che vanno oltre qualsiasi cosa possiamo immaginare. Sono stati tutti maltrattati, puniti e torturati fisicamente e psicologicamente in molti modi”.
La Croce Rossa in otto mesi non è mai riuscita a far visita agli ostaggi (Israele la accusa di non essersi impegnata molto). Moran Yanay ha condiviso la sua esperienza di Hamas con il Washington Post, raccontando il terrore del rapimento, la crudeltà dei rapitori e il prezzo di questo calvario sulla sua mente e sul suo corpo. “Benvenuta a Gaza”, le ha detto il leader del gruppo che l’aveva rapita. Le sue guardie hanno detto che la sua famiglia si era dimenticata di lei, che non c’era nessun paese in cui potesse tornare e che i vicini l’avrebbero uccisa se avesse fatto troppo rumore. Quando è stata rilasciata aveva perso diciassette chili.
Il padre di Emily Hand, che ha il doppio passaporto irlandese e israeliano, ha raccontato che la figlia parla solo a bassa voce dopo che le è stato ordinato di rimanere in silenzio durante la prigionia. Emily ha solo nove anni. Era stata rapita mentre dormiva nel kibbutz insieme alla sua amica, Hila. Sono state chiuse in una stanza con altri ostaggi. A terra solo dei materassi. Mancava l’acqua, i bisogni fisici rimanevano lì. Ogni quattro, cinque giorni portavano un secchio colmo e lo versavano nel water e, a turno, a uno degli ostaggi toccava pulire. Per lavarsi usavano asciugamani bagnati in un pentolino riscaldato con una stufetta. “La maggior parte degli ostaggi israeliani ha subito abusi fisici e mentali molto gravi”, ha denunciato la responsabile del reparto di psichiatria del centro medico Ichilov di Tel Aviv, Renana Eitan. I più piccoli sono stati drogati, ketamina e benzodiazepine. Una donna è stata tenuta sottoterra nella più completa oscurità. “È diventata psicotica, ha iniziato ad avere allucinazioni, che di solito si verificano quando si privano le persone di tutti i sensi normali. Altre due donne sono state tenute in una gabbia di un metro per un metro e mezzo”. Aviva Siegel, la madre di Shir, che è stata tenuta prigioniera a Gaza e il cui marito Keith è ancora in ostaggio, ha raccontato: “I terroristi hanno portato loro abiti per bambole e le hanno trasformate nelle loro bambole. Fantocci con i quali si poteva fare quanto si voleva, quando si voleva”. Poi la raccapricciante testimonianza di Chen Goldstein Almog: “Ci sono molte ragazze che non hanno avuto il ciclo. Forse per questo dovremmo pregare, perché il corpo in qualche modo le protegga in modo che non rimangano incinte”. Hamas ha diffuso video degli ostaggi, compreso uno di Hersh Goldberg-Polin, mutilato della mano sinistra.
Un veterinario di Gaza ha eseguito un intervento chirurgico su una ragazza francese-israeliana, ha rivelato la zia. Vivian Hadar dopo il rilascio della nipote Mia Shem ha raccontato: “Un veterinario le ha operato il braccio”. Mia era apparsa in un video di propaganda di Hamas in cui diceva: “Si prendono cura di me, mi danno medicine, va tutto bene”.
In diversi casi, le famiglie palestinesi hanno tenuto ostaggi in casa. Schem ha detto di essere trattenuta da una famiglia a Gaza. “Intere famiglie sono al servizio di Hamas”, ha detto a Canale 13. Anche Avigail Idan, la bambina di quattro anni i cui genitori sono stati assassinati, è stata trattenuta nelle case di diverse famiglie. Quando il russo-israeliano Roni Krivoi è riuscito a fuggire durante un raid israeliano, si nascose da solo per diversi giorni prima di essere scoperto dai civili di Gaza, che lo restituirono a Hamas. A Londra e ad Amsterdam intanto società pubblicitarie rimuovevano i cartelloni che mostravano gli ostaggi israeliani, dopo proteste e minacce. E i volti degli ostaggi sono stati strappati dalle città occidentali, dai campus, dalle metropolitane. Dal 7 ottobre sono usciti migliaia di video di studenti, passanti, attivisti, che rimuovevano i manifesti degli ostaggi. Nessun attore o quasi si è fatto carico della loro prigionia. A New York, i manifestanti questa settimana hanno anche attaccato la mostra sui 360 morti del Nova Festival. Il padre di Almog Meir Jan, uno dei quattro ostaggi liberati nel blitz, è stato trovato morto nella sua casa poche ore prima che potesse riabbracciare il figlio. Il suo cuore non ha retto. Quello di un pezzo d’occidente che non batte per il popolo finito prima nelle camere a gas e poi nei tunnel di Hamas, avrebbe detto Blaise Pascal, è vuoto e pieno di spazzatura.