Prossima tappa: Pechino
Non solo Africa. Meloni e il G7 contro la minaccia cinese
Palazzo Chigi vince sull'immigrazione in senso securitario, ma vince anche la linea americana anticinese. La prossima missione a Pechino della premier si fa più difficile
Bari, dalla nostra inviata. Il G7 a guida italiana, che si chiude ufficialmente oggi con la conferenza stampa della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è stato accorciato per via della Conferenza di pace sull’Ucraina in Svizzera e si è concluso in realtà ieri, con il comunicato finale dei Sette. E’ il documento che viene pubblicato e aggiornato ogni anno, e che tratteggia l’indirizzo politico comune dei paesi membri in un momento in cui l’unità, più di ogni altra cosa, conta soprattutto per le relazioni internazionali con i paesi che sfidano l’ordine mondiale a guida democratica – il paese che ha la presidenza di turno, di solito, gestisce i negoziati sin dall’inizio dell’anno e, per tradizione politica, ha la priorità nel dare un indirizzo di massima al documento. Ieri quindi è stato il giorno di Meloni, “dell’allargamento”, con la presenza di Papa Francesco e dei paesi cosiddetti “outreach” (cioè i paesi invitati, ma Palazzo Chigi ha scelto la dicitura inglese). La sessione di lavoro allargata su Intelligenza artificiale, Africa e Mediterraneo è servita a dare concretezza ai due temi che la presidenza di turno italiana ha voluto, ed è riuscita a inserire nel documento finale: per la prima volta in un documento G7 si parla di migrazioni e della gestione e riconoscimento dei flussi migratori irregolari, con un approccio securitario.
Per esempio nella parte in cui si afferma “il diritto sovrano degli stati di controllare le proprie frontiere e la loro prerogativa di governare la migrazione all’interno della propria giurisdizione, in conformità con il diritto internazionale”. Secondo fonti di Palazzo Chigi, a quest’ultima frase corrisponderebbe anche la ricerca di “altre soluzioni, come quella contenuta nel Protocollo Italia-Albania” (che però non è menzionato nel documento). Si parla poi della creazione di nuovi piani d’azione a livello di ministri dell’Interno, in collaborazione con forze di polizia come Interpol ed Europol, e poi della promozione di “percorsi regolari” che però “devono rispondere ai requisiti nazionali, rispettare le nostre legislazioni, le decisioni sovrane e i principi di equità nel reclutamento”. E’ il modello d’immigrazione che vuole Meloni, ma che può in qualche modo aiutare anche il presidente americano Joe Biden, alle prese con la crisi dei confini sud, e il Giappone di Fumio Kishida nella creazione di protocolli d’immigrazione che sopperiscano alla carenza di manodopera specializzata.
Una delle riunioni considerate più sensibili di questo vertice era infatti quella che si è tenuta ieri, sulla sicurezza economica e l’Indo-Pacifico – sotto rappresentato al G7, ma non per questo meno cruciale. A fare il discorso d’apertura, nella riunione a porte chiuse, è stato il primo ministro nipponico Kishida, che ha ribadito la connessione dei conflitti in Europa e in Asia. E il risultato è che nelle 36 pagine di documento – ridotte rispetto allo scorso anno di quattro pagine – il tema della migrazione occupa uno spazio inedito, ma così è anche per la questione cinese: il comunicato di Hiroshima menzionava la Cina venti volte, mentre nel comunicato di ieri la Repubblica popolare viene citata nove volte in più. E ha vinto la linea americana sulla questione del sostegno della Cina alla guerra della Russia contro l’Ucraina, in una formulazione molto precisa, che accusa direttamente l’intera leadership cinese di sostenere la guerra di Putin: le sette grandi economie esprimono “profonda preoccupazione per il sostegno della Repubblica popolare alla Russia e chiedono “di fare pressione affinché cessi l’aggressione militare e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina” – il messaggio di risposta di Putin era arrivato qualche ora prima, con la sua “proposta di pace” senza il ritiro delle truppe. Ma c’è di più, nella parte sulla Cina, perché il G7 s’impegna a continuare ad “adottare misure contro gli attori in Cina e nei paesi terzi che sostengono materialmente la macchina della guerra russa”, comprese le istituzioni finanziari “e le altre entità in Cina che facilitano l’acquisizione da parte della Russia di materiali per la sua industria della Difesa di base”. In tutto il paragrafo dedicato all’Indo-Pacifico, le formule di rito sulla stabilità nello Stretto di Taiwan e nelle regioni del Mar cinese orientale e Mar cinese meridionale sono molto più articolate, citano dettagli e aggressività cinese, e la parte sulla sicurezza economica menziona le pratiche commerciali sleali cinesi e i suoi trucchi per manovrare il mercato. Non solo, il G7 accusa la Repubblica popolare anche di minacciare il cyberspazio.
Tra pochi giorni, Giorgia Meloni volerà a Pechino non solo come presidente del Consiglio italiano, ma anche come presidente di turno di un G7 che non era mai stato così preciso sulla minaccia cinese. L’obiettivo sul breve termine del G7, che è stato uno degli argomenti del bilaterale di ieri con Biden, durato una quarantina di minuti, è che Meloni arrivi di fronte al leader cinese Xi Jinping con messaggi altrettanto forti. Perché l’immigrazione è un tema trasversale, ma la minaccia russo-cinese non può essere affrontata senza vera unità d’intenti.