i negoziati
Meloni a Bruxelles preferisce Orbán ai centristi, e perde potere negoziale
I negoziati per i “Top Jobs” sono in pausa ma l'intesa è vicina per un secondo mandato di von der Leyen alla Commissione, Costa alla presidenza del Consiglio europeo e Kallas al posto di Alto rappresentante per la politica estera. La premier italiana deve scegliere da che parte stare
Nella gran parte dei paesi europei sono le maggioranze parlamentari a determinare chi sarà il primo ministro. L’Ue non è un’eccezione. Popolari, socialisti e liberali hanno la maggioranza e sono loro a scegliere i nomi di chi dirigerà le istituzioni. Così è andata lunedì nei negoziati alla cena informale dei leader, durante i quali Giorgia Meloni si è ritrovata ai margini. O meglio: si è autoisolata, dando l’impressione di preferire Viktor Orbán agli europeisti.
Alla cena di lunedì dei leader dell’Ue un accordo definitivo sulle nomine non è stato trovato. Ma l’intesa è vicina sulla popolare tedesca Ursula von der Leyen per un secondo mandato alla Commissione, sul socialista portoghese António Costa alla presidenza del Consiglio europeo e sulla liberale estone Kaja Kallas al posto di Alto rappresentante per la politica estera. Sono i nomi proposti dal Ppe, dal Pse e da Renew. Alle elezioni del 9 giugno la coalizione centrista formata da popolari, liberali e socialisti ha ottenuto 406 seggi sui 720 del Parlamento europeo. In Francia ha vinto Marine Le Pen. In Italia Giorgia Meloni. In Germania Alternativa per la Germania è arrivata al secondo posto. Ma la maggioranza europeista ha retto, nonostante una piccola progressione della destra sovranista e dell’estrema destra, che si pongono all’opposizione dell’Ue e delle sue priorità.
La sera dei risultati Ppe, Pse e Renew hanno detto di voler cooperare per rinnovare la maggioranza centrista. I Verdi si sono detti disponibili a entrare in coalizione per salvare il Green deal. Questo era il quadro che attendeva Meloni a Bruxelles. In molti si chiedevano cosa avrebbe fatto. Quasi tutti si sono interrogati su ciò che voleva nella trattativa per i cosiddetti “Top Jobs”. Nessuno voleva escluderla a priori, malgrado al G7 siano riemerse le tensioni con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Qualcuno l’ha perfino difesa perché “l’Italia è un paese fondatore. Lei ha vinto le elezioni e ha una maggioranza stabile”, spiega al Foglio un funzionario dell’Ue.
Meloni doveva essere il “kingmaker” delle nomine europee. Invece, si è ritrovata ad aspettare tre ore mentre Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per i popolari, Scholz e Pedro Sánchez per i socialisti, Macron e Mark Rutte per i liberali cercavano un’intesa. Diverse fonti raccontano che la presidente del Consiglio italiano era infuriata per le trattative alle sue spalle. Dicono che avrebbe voluto discutere di programmi e dei risultati delle elezioni. Spiegano che vorrebbe aspettare le elezioni in Francia, dove l’8 luglio potrebbe emergere un governo del Rassemblement national. Per certo, la prima cosa che ha fatto Meloni a Bruxelles è stata incontrare il premier ungherese, Viktor Orbán, e l’ex premier polacco, Mateusz Morawiecki, cioè due rappresentanti del campo politico che vuole disgregare l’Ue, dell’estrema destra illiberale e filorussa (nel caso di Orbán), impegnata a smantellare lo stato di diritto (per entrambi). Agli occhi dei leader europeisti, che finora avevano apprezzato il suo pragmatismo in Europa, Meloni si è messa da sola all’opposizione. Tra essere la più conservatrice degli europeisti e la più cooperativa degli anti europeisti, si è seduta al tavolo di Orbán e Morawiecki che sognano un gruppo unico con Marine Le Pen. E così si è autoesclusa da qualsiasi trattativa sulle tre posizioni apicali.
I numeri dicono che gli europeisti possono fare a meno di lei. Il premier polacco, Donald Tusk, non poteva essere più chiaro. “Non è il mio ruolo convincere Meloni. Ora abbiamo una maggioranza in Parlamento costruita attorno ai partiti di centro del Ppe, dei socialdemocratici, dei liberali e di altri piccoli gruppi”, ha detto Tusk.
In realtà, von der Leyen potrebbe avere bisogno dei voti di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo per evitare il rischio di franchi tiratori nel voto di conferma che si terrà a metà luglio. E’ la ragione per cui la presidente della Commissione sta moltiplicando le concessioni bilaterali. La pubblicazione di un rapporto critico della libertà di stampa in Italia è stata rinviata. La raccomandazione sulla manovra di bilancio per il 2025 arriverà dopo l’estate. Fonti della Commissione hanno annunciato il via libera all’acquisizione di Ita da parte di Lufthansa. Ma la stessa von der Leyen ha implicitamente chiesto a Meloni di scegliere di stare “o di qua o di là”.
Il fatto che l’accordo sulle nomine sia stato rinviato al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno offre al presidente del Consiglio una seconda opportunità. In quell’occasione i posti di vicepresidente esecutivo della Commissione saranno usati come variabile di aggiustamento per trovare il consenso più ampio possibile tra i leader. Assegnarne uno all’Italia permetterebbe a Meloni di tornare in patria dichiarandosi vincitrice. E’ lo scenario considerato più probabile a Bruxelles, dove nessuno vuole aprire uno scontro con Meloni. Ma la condizione è che non si sieda dalla parte di Orbán e Morawiecki o dentro un gruppo unico dell’estrema destra con Le Pen.