Il voto inglese

Nigel Farage vuole guidare la destra britannica, al prossimo giro

Paola Peduzzi

Il leader indipendentista e brexitaro dal ghigno perenne ed entusiasta è tornato dalla pensione politica, inatteso: aveva detto che non si sarebbe candidato, poi lo ha fatto, ma considera questa elezione un passaggio per diventare il leader del mondo conservatore del Regno Unito. In giorni in cui non facciamo che parlare in Europa di ricomposizioni delle destre, l’eventuale matrimonio vagheggiato da Farage nel Regno Unito non sarebbe, non certo oggi, consensuale

“Indovinate chi è tornato”, ha detto Nigel Farage presentando il suo “contract with you”, il contratto con te, con voi, con gli inglesi: non vuole chiamarlo manifesto, perché è un termine che sa di menzogna,  tutti mentono nei loro programmi, tutti dicono le stesse cose nei loro programmi, lui no, il suo è un impegno, un contratto, una promessa. Poco prima del contratto, in un’intervista alla Bbc che ha fatto gelare il sangue ai conservatori, Farage ha detto: sono pronto a guidare l’opposizione al Labour, che vincerà queste elezioni, e l’ambizione è quella di candidarmi come primo ministro al prossimo giro, presumibilmente nel 2029.

Il leader indipendentista e brexitaro dal ghigno perenne ed entusiasta è tornato dalla pensione politica, inatteso: aveva detto che non si sarebbe candidato, poi lo ha fatto, ma considera questa elezione un passaggio per diventare il leader del mondo conservatore britannico, il suo obiettivo non è la manciata di seggi che prenderà,  secondo i sondaggi, il 4 luglio (circa 7), bensì radunare attorno a sé la destra, imponendosi come un nuovo leader che finalmente riesce a ispirare gli inglesi, raccogliendo le macerie che resteranno del Partito conservatore dopo il voto, e forzando i Tory ad accettarlo.

In giorni in cui non facciamo che parlare in Europa di ricomposizioni delle destre, di attrazione fatale dell’estremismo rispetto a partiti svuotati di idee e di elettori, l’eventuale matrimonio vagheggiato da Farage nel Regno Unito non sarebbe, non certo oggi, consensuale. Per il leader di Reform Uk, l’ultima evoluzione dell’indipendentismo faragiano, la politica è una prova di forza, e “non voglio essere maleducato con gli altri leader di partito”, ha detto presentando il suo contratto, ma non c’è mai stato “un divario tanto profondo tra i due grandi partiti di Westminster – e dico Westminster perché è il pensiero di Westminster e di Oxford che domina questi luoghi – e le conversazioni che sento nelle famiglie e tra le persone nel resto del paese”.

Eccolo qui di nuovo, Farage, contro l’establishment, contro la destra e la sinistra che sono la stessa cosa,  a favore del popolo che ha bisogno del suo ventriloquo perché c’è “un declino culturale” in corso, il Regno Unito è a pezzi, le menti dei giovani sono state “avvelenate” da un’idea distorta del loro paese, così che non sanno più “chi siamo, qual è la nostra storia, per cosa ci battiamo”. Il rimedio è “un patriottismo senza vergogna”, una “crociata per i valori britannici”, una lotta agli immigrati che rubano il lavoro e il cui numero è andato fuori controllo perché la Brexit è stata votata ma non è stata implementata, e un piano economico per gli esclusi, per chi non sente più l’appartenenza a un progetto collettivo – un piano che prevede tagli fiscali per 90 miliardi di sterline l’anno, aumenti di spesa per 50 miliardi di sterline l’anno, da coprire con 150 miliardi di sterline l’anno ricavati dalla riduzione di altre spese in servizi pubblici, interessi sul debito e pensioni. Sam Coates di Sky ha chiesto, diretto: “E’ profondamente poco seria questa proposta, vero?”, e Farage ha risposto che è “pensiero radicale”, il suo, non ti aspetti queste idee dal Labour o dai Tory perché loro non ce le hanno, ci vogliono creatività e passione per pensare in modo indipendente, ma “il paese è broken, c’è bisogno di riforme, siamo qui per questo”.

A Farage non importa che i conti non tornino né che ci siano settori rimasti senza manodopera per via delle restrizioni sulla libertà di movimento: ha un progetto matematicamente traballante ma politicamente aggressivo che oggi punta alla parte più contigua e più debole dello spazio politico, cioè ai Tory, che in alcuni sondaggi sono meno popolari di Reform Uk e che rischiano un collasso di seggi tanto grande che in maniera preventiva dicono che il Regno Unito guidato dal laburista Keir Starmer sarà “una autocrazia socialista”. Il peso specifico del partito di Farage ai Comuni sarà molto piccolo – i conservatori dovrebbero preoccuparsi più dei Libdem che li sfidano in molte circoscrizioni e parlano solo di voto utile – ma lui guarda oltre, dice di averlo sempre fatto, e ambisce a creare una nuova destra per il popolo, guidata da lui. Nella resa dei conti che aspetta i Tory dopo le elezioni, c’è anche, ancora, Nigel Farage.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi