Missili e sanzioni

Putin vola da Kim Jong Un per ottenere più armi e meno isolamento

Giulia Pompili

L’asse del male sembra essere sempre più definito. La Cina tra Mosca e Pyongyang per ora si tiene lontana, ma triangola appoggiando tutta la nuova geografia di alleanze. La linea rossa sul nucleare

Ieri le strade di Pyongyang, la capitale nordcoreana, si sono riempite di bandiere della Federazione russa e di gigantografie con il volto del presidente Vladimir Putin. Il Rodong Sinmun, quotidiano del Partito dei lavoratori nordcoreano che celebra ogni mattina le imprese del leader Kim Jong Un, ieri in prima pagina aveva “una lettera” firmata da Putin sulla costruzione di una “nuova architettura di sicurezza dell’Eurasia” e un nuovo meccanismo di commercio e cooperazione “non controllato dall’occidente”, e contrario “alle sanzioni unilaterali illegittime”. Per la città che ospita il potere nordcoreano non è usuale una visita di stato di così alto profilo: l’arrivo di Putin in Corea del nord era atteso da mesi, e soprattutto dal settembre scorso, quando il dittatore Kim aveva visitato la città russa di Vladivostok e incontrato il capo del Cremlino, gettando le basi per una cooperazione rafforzata tra i due paesi. Inizialmente il reciproco viaggio di Putin sembrava dovesse concretizzarsi subito dopo la sua missione a Pechino dal leader Xi Jinping il mese scorso, ma poi i piani erano cambiati, secondo diverse fonti su richiesta di Pechino. Il triangolo tra Mosca, Pechino e Pyongyang è “complicato”, ha scritto ieri il quotidiano sudcoreano Chosun, con la Cina che esercita leadership e  controllo sul regime nordcoreano.

 


Il test messo in atto, probabilmente, serve a dimostrare a Putin e Kim che non possono fare da soli. Non a caso, forse, nei giorni scorsi un monumento simbolo dell’amicizia fra Cina e Corea del nord è stato fatto sparire, e funzionari di Pechino hanno partecipato proprio ieri a un dialogo sulla sicurezza a Seul con le controparti sudcoreane.  Nel concreto, però, la logica del “nuovo ordine mondiale” risponde alla volontà ultima di Xi Jinping, che gioca su diversi piani per un solo obiettivo – quello di una leadership politica globale – e non è escluso che Putin, che ha la presidenza di turno dei Brics, non estenda un invito a partecipare “all’anti G7” anche alla Corea del nord.

 


Ieri la gigantesca delegazione russa ha lasciato la città di Jakutsk, nel gelido nord-est della Siberia dove il presidente russo ha fatto una breve visita, quando era già tarda sera. Secondo diversi osservatori di questioni nordcoreane il viaggio diplomatico di Putin, al di là dell’offrire un’immagine non isolata dei due leader e la firma probabile di un documento di cooperazione, riguarda concretamente un solo cruciale aspetto: gli armamenti e le munizioni che la Corea del nord sta fornendo alla Russia per la sua guerra in Ucraina. 

 


In piazza Kim Il Sung a Pyongyang, intanto, ieri si muovevano persone e strutture per una parata in onore di Putin, un dettaglio non insignificante che dice molto di quanto la diplomazia nordcoreana stia puntando sull’alleanza con il Cremlino. Con Putin ci sono anche il ministro degli Esteri Lavrov, quello della Difesa Belousov, ma pure il governatore di Primorsky Krai, l’unica regione russa che confina con la Corea del nord – dove si svolgono gran parte dei traffici in violazione delle sanzioni economiche fra Russia, Cina e Corea del nord – e il capo dell’agenzia spaziale russa, la Roscosmos, Yuri Borisov. Quest’ultimo è una presenza particolarmente importante: secondo la Difesa sudcoreana, l’ultimo tentativo di un lancio di satellite spia da parte nordcoreana è avvenuto anche grazie all’aiuto tecnologico russo. La “linea rossa”, ha fatto sapere ieri il governo di Seul, riguarda il trasferimento da parte russa di tecnologie legate al nucleare.  Ma il Cremlino ha già offerto parecchio alla Corea del nord come la protezione in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu e la cancellazione, di fatto, delle sanzioni economiche implementate fino a tre anni fa anche dalla Russia.

 


Ventiquattro anni fa, quando Putin, insediato presidente da appena quattro mesi, visitò per la prima volta Pyongyang, la leadership era del dittatore Kim Jong Il, padre di Kim Jong Un e diplomatico molto meno abile del figlio. Il 2000 era un altro mondo, l’anno del riavvicinamento e della prima visita di un presidente sudcoreano, Kim Dae-jung, nella capitale nordcoreana dopo la guerra del ’50-53. Pochi mesi dopo Kim e Putin, a Pyongyang sarebbe arrivata anche la segretaria di stato americana Madeleine Albright. Sei anni dopo, la Corea del nord eseguì il suo primo test nucleare. Ieri Bloomberg scriveva: più che ai palloni di propaganda, bisognerebbe fare attenzione a questa nuova diplomazia nordcoreana.  

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.