le navi di Putin in Libia
Saied diserta il G7 e i russi sbarcano a Tobruk. Guai per Meloni
Che succede se i nostri alleati in Africa fanno il doppio gioco con Russia, Cina e Iran a due passi dalle nostre coste
L’ultimo colpo di teatro di Kais Saied è arrivato al G7 di Borgo Egnazia. Il giorno prima del vertice, il presidente della Tunisia ha fatto sapere che non sarebbe volato in Puglia, dove Giorgia Meloni avrebbe voluto presentarsi ai leader del mondo con al suo fianco un volto amico nel panorama nordafricano per celebrare il suo Piano Mattei. Saied ancora una volta non si è prestato al gioco degli schieramenti e a Borgo Egnazia si è presentato invece il suo primo ministro, Ahmed Hachani. Uno sgarbo diplomatico su cui né Tunisi né Roma hanno dato spiegazioni ufficiali, per evitare imbarazzi ulteriori. “Probabilmente Saied ha voluto evitare di dover dare spiegazioni ai leader occidentali sui viaggi scomodi fatti nelle ultime settimane”, dicono al Foglio fonti dell’opposizione tunisina. In effetti, molti al G7 avrebbero salutato malvolentieri la partecipazione del dittatore di Cartagine. La deriva autoritaria, gli attacchi alla libertà di espressione e ai diritti umani nella questione dei migranti sono solamente una parte della storia. A fare di Saied un personaggio sgradito in America come in Europa sono gli ammiccamenti con la Russia, la Cina e l’Iran, così come il malcelato desiderio di aderire ai Brics. Se Saied ha disertato l’invito di Meloni al G7, ha invece accettato di buon grado quello di Xi Jinping, che ha incontrato a Pechino il 31 maggio. Dopo avere rifiutato le condizioni imposte dal Fmi per ottenere un prestito da poco più di un miliardo di euro, la firma di una serie di accordi di cooperazione con la Cina assume un significato particolare per Saied, pronto a discutere con tutti nella speranza di alimentare il suo gioco al rialzo fra oriente e occidente.
Poco prima di andare a Pechino, il leader di Cartagine era volato a Teheran dall’ayatollah Ali Khamenei per partecipare al funerale del presidente Ebrahim Raisi. Era dal 1965 che un leader tunisino non volava in Iran, ma a Saied sono bastati pochi giorni, dopo il bilaterale con Khamenei, per disporre la liberalizzazione dei visti per gli iraniani in visita in Tunisia e per prendere una decisione analoga nei confronti dell’Iraq, altro paese vicino agli ayatollah. L’apertura a Teheran ha coinvolto anche la guerra a Gaza. L’attacco del 7 ottobre è stato definito da Saied un gesto di “legittima resistenza” dei palestinesi. Già incline al linguaggio antisemita, il presidente tunisino ha assunto una posizione oltranzista rinnegando la soluzione a due stati e sostenendo che il conflitto fra Hamas e Israele va risolto con Gerusalemme capitale di un unico stato palestinese. L’abbandono della linea moderata sulla questione mediorientale ha pagato e secondo i sondaggi la maggioranza dei tunisini sta con Saied nel condannare lo stato ebraico.
L'incrociatore russo Varyag a Tobruk
Poi c’è la Russia. Da un anno, aerei cargo e jet privati di Mosca hanno fatto scalo sull’isola tunisina di Djerba per fare rifornimento. Sulla natura di questi voli resta il mistero. Fonti diplomatiche occidentali hanno smentito la ricostruzione fatta da Repubblica il mese scorso su ipotetici spostamenti delle forze armate russe in Tunisia, ma l’idea che alcuni analisti si sono fatti è che questi voli abbiano a che fare con il dispiegamento nel Sahel delle milizie private del Cremlino.
I russi si ritrovano a loro agio in questo gioco delle parti, fatto di provocazioni e doppi giochi fra le sponde del Mediterraneo. Lo dimostrano gli sviluppi più recenti nella vicina Libia, dove due giorni fa hanno fatto scalo al porto di Tobruk, in Cirenaica, due navi militari di Mosca, la fregata Maresciallo Shaposhnikov e l’incrociatore Varyag. Entrambe le unità sono in attesa di partire per il Pacifico, ma è altamente simbolico il fatto che nel frattempo facciano tappa nel porto dove Vladimir Putin sogna di creare una nuova base militare russa affacciata sul Mediterraneo e davanti alle coste italiane. Il generale libico Khalifa Haftar, anche lui entrato nel novero degli interlocutori politici del governo italiano nel dossier migranti, è sostenuto economicamente e militarmente dal Cremlino. Ma questo non è più un motivo di imbarazzo per l’Italia. Sta qui l’essenza del realismo meloniano nel Nord Africa.