Un frame del video diffuso dal al Shabaab

il video della base "osama bin laden"

Guerra e intese di convenienza in Somalia tra Isis, al Shabaab e houthi

Luca Gambardella

Nel paese dell'Africa orientale gli americani danno la caccia alla "mente" dello Stato islamico, mente il braccio di al Qaida guadagna terreno e stringe accordi con i terroristi dello Yemen. Per mettere nella morsa il Golfo di Aden

Se in Siria e Iraq batte il cuore dello Stato islamico, la sua mente potrebbe essere in Somalia. Nel paese dell’Africa orientale ci sono fra i 150 e i 400 combattenti – molto pochi quindi – e la pericolosità del gruppo jihadista non sta tanto nelle sue capacità militari. Piuttosto, in Somalia si trova il maktab al Karrar, una base di coordinamento logistico e finanziario da cui dipendono i combattenti attivi in quel quadrante del continente, in particolare in Congo e Mozambico. Abdulqadir Mumin è l’anziano leader che dirige al Karrar e che decide quanto denaro deve andare a chi. Una figura talmente di rilievo che gli Stati Uniti stanno tentando di ucciderlo con operazioni anti terrorismo chirurgiche. L’ultima, avvenuta alla fine del mese scorso, ha interessato una località vicina a Bosaso, nel Puntland, la regione che si affaccia sul Golfo di Aden. Il Comando americano aveva detto di avere colpito tre obiettivi dello Stato islamico, neutralizzandoli tutti. Ora una fonte anonima della Difesa americana ha rivelato a Voice of America che fra loro potrebbe esserci anche Mumin. La notizia non trova ancora conferme, ma si tratterebbe di un colpo molto importante. Secondo voci insistenti provenienti proprio dalla Somalia, sarebbe lui il vero califfo dello Stato islamico, Abu Hafs al Hashemi al Qurashi. E’ un’ipotesi ancora tutta da verificare e su cui non c’è uniformità di pensiero fra gli analisti, molti dei quali convinti che non avere un arabo alla guida del Califfato ne indebolirebbe l’autorevolezza.  

 

   

Ma oltre allo Stato islamico, le forze armate di Mogadiscio devono fronteggiare anche, e soprattutto, al Shabaab, che appartiene alla galassia di al Qaida e che controlla buona parte del territorio.  Negli ultimi due anni, l’esercito somalo aveva imposto sconfitte pesanti ad al Shabaab, ma sono bastati sei mesi per stravolgere tutto. Il gruppo terroristico oggi conta fino a 13 mila combattenti, centri di addestramento avanzati, capacità militari superiori non solo rispetto ai rivali dello Stato islamico ma anche a quelle delle forze armate di Mogadiscio. Due giorni fa, il gruppo ha condiviso attraverso il suo canale al Kataib un video di un’ora in cui mostra l’addestramento di una sua nuova unità di “forze speciali” presso un campo di addestramento chiamato “Osama bin Laden”. Il video fa continui richiami alla guerra a Gaza, inneggiando alla distruzione di Israele e contiene molte citazioni dei discorsi fatti da personaggi simbolo di al Qaida. Oltre al campo dedicato a Bin Laden, si fa riferimento ai discorsi di Musab al Zarqawi, il capo del gruppo terroristico in Iraq, e poi ad altri leader come Abu Yahya al Libi e ovviamente al successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri – tutti uccisi dagli americani. 

Il video, per lunghezza e contenuti, è senza precedenti per al Shabaab. E’ un mezzo di propaganda ma anche una dimostrazione di forza del gruppo, che oltre alla riconquista di parte del territorio perso in Somalia, sta avviando una forma di collaborazione con gli houthi dello Yemen, affacciati dall’altra parte del Golfo di Aden. L’intelligence americana ritiene che il gruppo yemenita di Ansar Allah – che già si coordina con il ramo yemenita di al Qaida – abbia raggiunto un accordo con al Shabaab per vendergli armi, molte verosimilmente di fabbricazione iraniana. Essendo organizzazioni criminali che agiscono sulle sponde dello stesso tratto di mare, il traffico di armi non è una novità, ma sancire un’intesa per formalizzare queste transazioni significa aumentare la portata della collaborazione. Washington ritiene che l’accordo sarebbe un enorme problema per l’occidente, già coinvolto da mesi nel Golfo di Aden per tentare di ristabilire –  finora senza riuscirci – la libertà di navigazione minacciata dagli attacchi degli houthi. Secondo l’intelligence americana, al Shabaab potrebbe dotarsi di missili e altre armi più sofisticate rispetto ai classici mortai con il fine di contribuire agli attacchi alle navi cargo in quel tratto di mare. I due gruppi, Ansar Allah e al Shabaab, non potrebbero essere più diversi – per confessione religiosa e obiettivi militari, in primis –, ma la prospettiva di paralizzare del tutto la navigazione nello Stretto di Bab el Mandab sarebbe un incentivo sufficiente a mettere da parte le rispettive diffidenze.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.