le rivendicazioni

La Cina cambia la legge sulla Guardia costiera per occupare il Mar cinese meridionale

Giulia Pompili

Per la prima volta Pechino assalta una nave filippina di rifornimento. La tensione che aumenta e la legittimazione, per legge, dei metodi aggressivi

In un luogo remoto del Mar cinese meridionale, al largo della Seconda secca di Thomas (chiamata secca di Ayungin nelle Filippine) lunedì scorso è successo qualcosa di molto importante, che potrebbe cambiare le regole delle relazioni fra la Cina e il resto del mondo. Quattro navi cinesi hanno circondato due gommoni a scafo rigido della Marina militare filippina, poi la Guardia costiera cinese è salita a bordo, li ha ispezionati, ha sequestrato i fucili, che erano a bordo ma smontati, e ha danneggiato permanentemente le imbarcazioni. Nell’operazione, secondo l’Associated Press, sarebbero rimasti feriti cinque marinai filippini soccorsi poi dalla Marina filippina (uno di loro avrebbe perso un dito). Tutto legale, grazie a una nuova legge introdotta sabato scorso da Pechino che consente azioni di forza della sua Guardia costiera anche in acque “contese”.

 

 

In realtà c’è ben poco di conteso nel Mar cinese meridionale e nelle isole Spratly, alcune amministrate da Manila ma che da anni Pechino rivendica illegittimamente. Negli ultimi mesi le rivendicazioni sono  passate da assertive ad aggressive, con azioni di forza e di bullismo ben note nelle cancellerie dei paesi dell’Indo-Pacifico, ma che adesso la leadership di Pechino vuole normalizzare e istituzionalizzare rendendole legalmente legittime. C’è una sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aia del 2016 che dice, esplicitamente, che le rivendicazioni cinesi nella regione non hanno alcuna base storica – una sentenza da sempre ignorata dalla Repubblica popolare e che per la prima volta, la scorsa settimana, è stata perfino menzionata nel comunicato finale del G7. Ma il Mar cinese meridionale non fa ancora notizia, e l’occupazione cinese dell’area è lenta, ma inesorabile. Il governo di Manila cerca di resistere da mesi, anche attraverso i periodici rifornimenti ai soldati di stanza sulla BRP Sierra Madre, una vecchia nave cisterna da sbarco che Manila, nel 1999, decise di far incagliare nella Seconda secca di Thomas per evitare una occupazione concreta da parte cinese. Ma ora la situazione è  peggiorata, con una tattica da parte di Pechino ben affinata che mira a cambiare lo status quo lentamente, senza gesti eclatanti, e di fatto occupare delle isole strategiche per i passaggi nel Mar cinese meridionale.  

 

 

“Abbordare una nave del governo filippino, brandendo lame e coltelli costituisce ‘pirateria’ e Pechino dovrebbe pagare i danni”, ha detto ieri il capo delle Forze armate delle Filippine Romeo Brawner. La Marina cinese, coadiuvata dalla Guardia costiera e dalle milizie marittime tenta sistematicamente di fermare le missioni di rifornimento filippine alla Sierra Madre, ma finora si era limitata a interferire con speronamenti, cannoni ad acqua e laser. Ora la Guardia costiera può salire sulle imbarcazioni se entrano in acque rivendicate da Pechino. Nei prossimi mesi, l’intera regione dell’Indo-Pacifico sarà teatro di diverse esercitazioni militari con la partecipazione anche di marine di paesi Nato (compresa l’Italia). Significa che ci saranno diversi transiti, e  Pechino potrebbe iniziare ad alzare la minaccia anche contro altre imbarcazioni. E’ già successo a navi e aerei di Australia e Canada durante operazioni di ricognizione.  

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.