Una donna passa davanti ai manifesti della campagna elettorale (AP Photo/Bob Edme) 

l'editoriale dell'elefantino

Le Pen o Mélenchon? Per fortuna non siamo francesi

Giuliano Ferrara

In Francia il dilemma infernale del secondo turno è una scelta dolorosa per tanti liberali e  ridimensiona le grane politiche di casa nostra. Dove invece, molto andreottianamente, “tutto si aggiusta”

Douce Italie et France amère. C’è una domanda che induce a una smorfia di disgustato dolore se rivolta a un gollista severo e perbene o a un socialista che non ha portato il cervello all’ammasso del Front Populaire mélenchonista: “Se nella sua circoscrizione elettorale, al secondo turno del 7 luglio, dovrà scegliere tra un candidato di Marine Le Pen o uno di Mélenchon, che farà?”. Non sanno che dire, salvo che prima del secondo c’è un primo turno e loro si battono per evitare questa alternativa facendo campagna per macronisti e gollisti non asserviti al Rassemblement National, dunque non ha senso anticipare una scelta contro la cui prospettiva lavorano ventre a terra, sarebbe una risposta autolesionista. “D’accordo, ma se…”, insiste il giornalista di fronte a un pubblico che sa benissimo come sarà proprio quella l’alternativa su cui decidere in moltissime circoscrizioni malgrado ogni sforzo per evitarla. “Ma se…”. Qualcuno a quel punto cede, scheda bianca, e qualcun altro tace intirizzito dal freddo dilemma a venire. 
       

Vero che Marine espulse il padre dal partito per antisemitismo, vero che da dieci anni lavora per dediabolizzarsi, come si dice in Francia, vero che Jordan Bardella si accredita come un ragionevole ventottenne capace di gradualismo in economia, vero che non è più classicamente antieuro eccetera, e cerca di staccarsi dall’immagine putinista di ieri, ma insomma, il riflesso d’ordine puro e duro non è per tutti i palati, e la storia continua a pesare. Vero che accanto a Mélenchon ci sono i socialisti democratici di Glucksmann, fagocitati nel cartello elettorale ma indisponibili a seguirlo nel suo antisemitismo di matrice filoislamista e nel suo antioccidentalismo spinto, anzi sono stati perfino suoi nemici acerrimi fino a ieri, e ci sono molti altri come loro pronti a riprendere la loro autonomia dopo il voto forzato frontista, ma insomma, il programma del cartello è demenziale nonché pericoloso per la sua demagogia. Le Pen o Mélenchon è un dilemma infernale, Macron sapeva che probabilmente lo avrebbe imposto a una quantità di democratici e liberali francesi sciogliendo l’Assemblea nazionale, ma il gesto era inevitabile per salvare il salvabile, che è pochino per ora. E poi, come si dice in Abruzzo, “come te fai lu lietto così ti c’accucci”. Se i compatrioti mettono la collera e la frustrazione (un po’ farlocche) al posto della clarté e della ragione, bè, che ne sperimentino le conseguenze, anche per evitarne di peggiori nel 2007, anno delle presidenziali. 
       

Abbiamo invidiato per decenni legge elettorale e sistema semipresidenziale della V Repubblica: ricambio e stabilità. Li abbiamo confrontati con la nostra sguaiata e fragile partitocrazia e postpartitocrazia. Bisogna dire però che, al confronto con il dilemma infernale, le nostre scelte hanno del paradisiaco o quanto meno del purgatoriale. La speranza infatti, nel nostro sistema, non muore mai, e le opzioni sono blande, non fremono di castighi sebbene nel mondo dei litigiosi Virzì, quelli che vogliono essere come gli altri e intanto credono nella diversità antropologica, spesso si finga che la scelta è tra democrazia e dittatura (Berlusconi, poi Meloni). Qui al Foglio si fece una battaglia distruttiva contro il governo del contratto fra grillini e salvinisti, ma in fondo fu una breve e innocua scemata, quel tremendo primo governo antipartito e antiparlamentare d’Europa, il prodromo dei pieni poteri che si risolsero in un tuffo nella riviera romagnola, con mojito braghette e torso nudo. Qui uno come Conte, buonuomo, è diventato uno statista paradossalmente eccellente per alcuni anni, passando dal nero al bianco al Draghi con undici suoi ministri (malgrado le scuse di adesso per averlo fatto). Qui, come diceva Andreotti, tutto s’aggiusta. Banale e longanesiano, se volete, ma profondamente vero, una verità di sistema legata forse al carattere nazionale. I francesi le cose le fanno tanto seriamente quanto cupamente, noi ce la prendiamo comoda e retrocediamo a folclore giovanile inguardabile ma periferico il fascismo, incassiamo una coalizione di destra integrazionista e occidentalista e un’opposizione di centrosinistra leggerina ma senza l’imbarazzante retore che considera “residuale” l’antisemitismo. Non è tanto e non è poco. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.