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Manipolazioni

Piccoli Ayatollah nelle università europee

Giulio Meotti

Bandiere, simboli e slogan. Così Khamenei, Hezbollah e Hamas muovono legioni di studenti occidentali come marionette antisemite

Il giovane Bruno Breguet voleva combattere contro l’imperialismo. Nello specifico, contro Israele. Il liceale di Muralto vedeva i palestinesi come i “dannati di questa terra”. Invece di diplomarsi, Breguet andò in Libano e si formò alla “resistenza”. Tornato in Ticino, chiese alla madre di cucirgli una cintura di stoffa. “Per trasportare libri”, le disse. Quattro terroristi palestinesi avevano attaccato un aereo della El Al a Kloten. Un agente israeliano uccise uno dei terroristi. Breguet vide in Kloten una  “ingiustizia”. Prese il treno per Venezia e si imbarcò per Israele. Il 23 giugno 1970, Breguet viene arrestato nel porto di Haifa. La cintura esplosiva che aveva addosso non portava libri, ma due chili di esplosivo. Voleva collocare la bomba nello Shalom Meir, il grattacielo di Tel Aviv. Dopo sette anni, Breguet venne graziato. Gli intellettuali di sinistra avevano raccolto firme per lui: Foucault, Sartre, de Beauvoir, Dürrenmatt, Grass. In un documentario, il regista Olmo Cerri ricostruisce  la vita del terrorista ticinese. Ha iniziato il film prima del 7 ottobre, ma dopo il pogrom  ha un sapore diverso.

   

Prima le mani insanguinate, simbolo della Seconda Intifada con il linciaggio di due riservisti israeliani. Ora il triangolo rosso rovesciato. Gli studenti occidentali fanno propri tutti i simboli del jihad palestinese. Nelle ultime settimane sono comparsi sempre più triangoli rossi sulle facciate degli edifici di tutta Berlino. L’ingresso della casa di Anne Pasternak, la direttrice ebrea del Brooklyn Museum di New York, è stato vandalizzato con il triangolo rosso sulla sua porta. Anche le case degli altri membri del consiglio erano contrassegnate con il simbolo di Hamas. Poi negozi Starbucks, Apple e altri, marchiati con il triangolo rosso. Una deputata della France Insoumise, Ersilia Soudais, ha commemorato la liberazione di Auschwitz con il triangolo rosso.

 

Prima le mani insanguinate dell’Intifada, ora il triangolo rosso di Hamas. Gli studenti occidentali usano  tutti i simboli del terrore palestinese


Dai massacri del 7 ottobre, l’ala militare di Hamas, le Brigate al Qassam, pubblica  video di combattimenti a Gaza in cui le forze militari israeliane che stanno per essere attaccate sono contrassegnate da un triangolo rosso rovesciato. E’ il “triangolo di Abu Obaida”, dal nome del portavoce militare di Hamas. Ha guadagnato popolarità sui social e una felpa con il “triangolo rosso simbolo della resistenza” è in vendita su Amazon. Soltanto un esempio di come Hamas è riuscita a utilizzare i social per fare il lavaggio del cervello agli occidentali.

  

Da questa settimana l’Università McGill, la più importante del Canada, ospita un summer camp dove si impara a diventare guerriglieri decolonialisti. “Ci impegniamo a educare i giovani di Montreal”, recita l’annuncio accompagnato da terroristi che indossano la kefiah e impugnano fucili mitragliatori. Ora non c’è bisogno di partire per la Siria per diventare terroristi. Ci sono i summer camp woke. E alcune ore dopo che cinque proiettili avevano colpito una scuola ebraica a Toronto, nel centro della città si svolgeva una manifestazione studentesca per “globalizzare l’Intifada”, durante la quale il portavoce di Hamas Abu Obaida ha pronunciato un discorso trasmesso da un altoparlante: “E’ jihad, vittoria o martirio”.

  

“Strange Bedfellows” non è solo un film del 1964 con Rock Hudson e Gina Lollobrigida. In politica e in guerra si chiamano così, “strani compagni di letto”, ma la relazione amorosa della sinistra radicale con i fanatici islamici è la coppia più strana mai vista (Hitler e Stalin avevano molte più cose in comune).

  

La Guida suprema, l’Hezbollah libanese, al Qaida e l’Isis si sono tutti congratulati con le manifestazioni studentesche occidentali

  

Il 25 maggio, il leader supremo del regime iraniano Ali Khamenei e Naim Qassem, secondo in comando di Hezbollah, hanno incoraggiato le proteste studentesche in occidente. Anche la leadership di Hamas ha ringraziato gli studenti. L’Iran e i suoi satelliti sono da tempo attenti osservatori di queste tendenze, consapevoli che un nuovo umore antioccidentale ribolle. “L’Iran utilizza gruppi politicizzati di sinistra all’interno delle università per destabilizzare le democrazie europee”, scrive Emmanuel Razavi, un importante reporter franco-iraniano autore del libro “La face cachée des mollahs”, uscito per le Éditions du Cerf. Uno “scenario houellebecquiano” è evocato dall’ex premier francese Manuel Valls.

Khamenei e Qassem hanno preso spunto dalla calorosa accoglienza riservata dai giovani occidentali alla “Lettera all’America” del 2002 di Osama Bin Laden e apparsa l’anno successivo all’attentato alle Torri Gemelle, in cui giustifica l’attacco come “jihad difensivo”. Ecco cosa ha detto la leadership di al Qaeda il 23 maggio: “Come sosteniamo l’assassinio e la decapitazione dei non credenti sionisti, così apprezziamo il movimento dei manifestanti e degli occupanti occidentali tra gli studenti delle università”. Questa settimana, l’attuale uomo forte di al Qaeda, Seïf al Adl, in un testo di tredici pagine dal titolo accattivante (“Gaza: una guerra esistenziale”), attacca l’“occidente sionista”. Nei campus occidentali non potrebbero essere più d’accordo.

Il regime dell’ayatollah non si è lasciato sfuggire che il giovane pubblico occidentale è critico nei confronti di Israele. Distribuita su X, la lettera di Khamenei asseconda la sinistra utilizzando il gergo progressista. Khamenei aveva già denunciato l’“islamofobia” nella sua prima lettera ai giovani occidentali dopo l’attacco a Charlie Hebdo. Questa volta, Khamenei si è rivolto ai giovani americani  nei campus. E come nel 2015, Khamenei consiglia agli studenti di “acquisire familiarità con il Corano”.

Qassem di Hezbollah ha anche affermato che gli accampamenti sono stati un’utile tattica di pressione sul Partito democratico per fratturare le relazioni tra America e Israele. “Hezbollah è riuscito a incorporare l’idea di resistenza come parte dei movimenti internazionali anti-globalizzazione”, ha affermato Abdel-Halim Fadlallah, vicepresidente del Centro per gli studi strategici di Beirut, affiliato a Hezbollah. Funzionari vicini a Hezbollah rappresentano il gruppo alle riunioni del World Social Forum. Per rafforzare i legami con gli studiosi occidentali, i gruppi di ricerca collegati a Hezbollah hanno organizzato lezioni e conferenze in stile accademico. Una delegazione è partita anche dalla Sapienza.

Allo stesso modo, Hamas il 25 aprile ha criticato l’amministrazione Biden per aver violato i diritti individuali dei manifestanti universitari. Gli esempi abbondano: un caso degno di nota è quando l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha citato i testi del rapper americano Tupac Shakur dopo l’uccisione di George Floyd per ottenere il favore dei giovani occidentali. Gli studenti del Jackson Center for Global Affairs di Yale sono stati portati dai loro docenti a incontrare l’allora presidente Ahmadinejad quando era in visita all’Onu (in quell’occasione il leader iraniano negò la Shoah). Allo stesso modo, a partire dal 2014, Hamas ha compiuto sforzi concertanti per attirare l’occidente. Nel 2017 ha pubblicato un documento supplementare al suo manifesto antisemita del 1988, che contiene un “linguaggio di liberazione” più politicamente corretto e meno nazista. Ha commercializzato la “Grande Marcia del Ritorno”, al confine con Israele, come una “marcia per i diritti umani”, con il leader di Hamas Ismail Haniyeh che ha tenuto discorsi lì davanti a un grande poster di Martin Luther King, Gandhi e Mandela.

Alti dirigenti di Hamas hanno portato l’allora leader laburista inglese Jeremy Corbyn in Tunisia a deporre corone di fiori sulle tombe dei terroristi di Monaco ‘72. In Svezia, sei mesi prima del 7 ottobre, si è tenuta una conferenza organizzata da Hamas. L’hanno chiamata “Conferenza europea dei palestinesi”. Gergo inclusivo. C’erano anche parlamentari italiani. “Una delle armi di Hamas è l’apertura di un fronte in Europa e c’è abbastanza gente per ascoltare e la minaccia è molto poco compresa dalle democrazie”, denuncia Hugo Micheron, uno dei massimi esperti di islamismo. Il Parlamento svizzero ha ospitato il portavoce di Hamas Mushir al Masri. All’Onu, dopo la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi c’è stata quasi una settimana di eventi di cordoglio, minuti di silenzio, alzabandiera e commemorazioni.

Intellettuali francesi come Jean-Paul Sartre avevano già difeso il terrore in nome dell’anticolonialismo (non solo in Algeria, anche contro gli atleti israeliani a Monaco). Altri, come Michel Foucault, nei suoi ambigui testi sulla rivoluzione iraniana, vedevano nel movimento islamico una forma di resistenza all’imperialismo occidentale. Oggi non c’è un movimento che grida “Sieg Heil”, ma che pretende di includere l’umanità “oppressa” e di escludere gli “oppressori”. “Resistenza con ogni mezzo”, sentiamo cantare gli studenti e i loro insegnanti, perché, si sa, non si può fare una frittata senza rompere le uova.

Il leader dei terroristi Houthi, Abdul Malik al Houthi, accusa l’Italia di avere una “nera storia coloniale alle spalle” e parla la lingua degli studenti occidentali. E Iran, Hamas, Hezbollah e altri sono stati bravi a coltivare il territorio della coscienza postcoloniale di paesi come la Spagna, un tempo dominatrice dei mari e di un intero continente che ha riconosciuto ufficialmente lo “Stato di Palestina”. E il Belgio, il cui re Leopoldo II un tempo fece conquistare e sfruttare il Congo e voleva portare la civiltà belga ai congolesi, è attualmente uno dei critici più zelanti di Israele, con la vicepremier Petra De Sutter che invoca sanzioni.

   

Il capo degli Houthi ci accusa di “colonialismo”: musica nei campus. E da Teheran arrivano le parole d’ordine, da Quds Day a Hijab Day

  

Intanto dall’Iran sono arrivate tutte le parole d’ordine adottate in occidente. Il Quds Day, che si tenne per la prima volta nel 1979 dopo la Rivoluzione iraniana. Il World Hijab Day, la Giornata mondiale del velo, imposto alle donne da Khomeini nel 1979. La “lotta contro l’islamofobia”, decretata da Khomeini con la fatwa contro Salman Rushdie. Ebrahim Raisi indossava una kefiah come fa sempre la Guida suprema Ali Khamenei quando parla di palestinesi. Nessun altro leader del mondo islamico la sfoggia con tanta solerzia. 

 

Così ora ci siamo ritrovati con un nuovo strano Sessantotto, le aule occupate convertite in moschee all’ombra della Mole antonelliana e le studentesse di Torino in kefiah (rigorosamente prodotte in Cina) e in video stile Isis che perorano la causa di Gaza. Ora si cacciano le donne israeliane dai cortei dell’8 marzo e si cacciano gli omosessuali ebrei con la stella di Davide dai cortei dei Pride italiani. Ora la sinistra radicale e arcobaleno di Yolanda Diaz inneggia alla liberazione della Palestina “dal fiume al mare”. Ora decine di università occidentali, da Palermo a Ghent in Belgio, rompono con Israele, come questa settimana hanno chiesto da Teheran.
Alla Humboldt di Berlino, gli studenti hanno intanto hanno occupato l’università e l’hanno ribattezzata “Jabalia”, dal nome del fortino di Hamas a Gaza. Alla John Moores University di Liverpool, i manifestanti hanno ribattezzato un edificio “Leila Khaled’s Hall”, dal nome della terrorista palestinese famosa per aver dirottato due aerei nel 1969 e nel 1973. Dalle università di Dublino a quelle di Chicago e della California arrivano immagini di preghiere nei prati dei campus.

 

Gilles Kepel ha scritto che il 7 ottobre avrà un impatto strategico più profondo dell’11 settembre perché il pogrom ha spezzato in due l’occidente   

 

Ma i progressisti occidentali possono imparare dalla storia della rivoluzione iraniana, che ha “mangiato” i propri liberal e radicali, o continuare il percorso nichilista volto a distruggere le basi della cultura occidentale e a incoraggiare la destabilizzazione e la radicalizzazione del medio oriente. Per questo l’islamologo Gilles Kepel ha scritto che il 7 ottobre avrà un impatto strategico più profondo dell’11 settembre perché, a differenza dell’attentato alle Torri Gemelle, il pogrom di Hamas ha spezzato in due l’occidente, facendo pendere la sua maggioranza verso i terroristi.


Intanto, in una scuola di Abbiategrasso, hanno tirato fuori il “laboratorio di hijab” allo scopo di “favorire l’integrazione”. Come è nato? Spiega il preside: “Le ragazze italiane hanno chiesto alle loro coetanee arabe di vedere come si indossa”. A Teheran la “polizia morale” frusta e arresta (quando non uccide) chi non rispetta l’hijab e in Italia istituiamo corsi su come indossarlo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.