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Palazzo di vetro 1984

Con l'invito dell'Onu, i Talebani preparano il loro ritorno nel mondo

Giulio Meotti

I fondamentalisti afghani non vogliono vedere le donne al tavolo di Doha. E le Nazioni Unite li accontentano

UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’empowerment femminile, l’uguaglianza di genere e il rafforzamento della posizione femminile nel mondo, la scorsa settimana ha tenuto una sessione sugli “stereotipi di genere nell’intelligenza artificiale”. ChatGPT deve essere un gran sessista. Di normale invece l’intelligenza del Palazzo di vetro sembra avere ben poco. Succede che questa settimana alti funzionari delle Nazioni Unite abbiano difeso la mancata inclusione delle donne nel prossimo primo incontro tra i talebani, l’Onu e gli inviati di 22 paesi. L’inviata speciale delle Nazioni Unite, Roza Otunbayeva, ha accettato che non ci fossero donne all’incontro nella capitale del Qatar, Doha, il 30 giugno e 1 luglio. Il direttore  di Human Rights Watch, Tirana Hassan, ha risposto che i piani dell’Onu “sono scioccanti”.
 

Otunbayeva, ex presidente e ministro degli Esteri del Kirghizistan, ha confermato che nessuna donna sarà presente all’incontro con gli “studenti di Allah”. La responsabile degli Affari politici e di Consolidamento della pace dell’Onu (formula vagamente orwelliana), Rosemary DiCarlo, presiederà l’incontro. DiCarlo ha visitato l’Afghanistan a maggio e ha invitato il ministro degli Esteri talebano, Amir Khan Muttaqi, a partecipare al prossimo incontro in Qatar.
 

“Le Nazioni Unite, facendo di tutto per convincere i talebani a partecipare, hanno elaborato un’agenda che esclude diritti umani e una lista degli invitati che esclude le donne afghane dagli incontri principali”, commenta Human Rights Watch. “In altre parole, le persone più colpite dagli abusi talebani vengono messe da parte ed escluse dal parlare del loro destino da parte delle Nazioni Unite”.
 

Sotto il governo deposto di Ashraf Ghani, l’Afghanistan aveva ricevuto un mandato di quattro anni (2021-2025) nella Commissione sulla condizione delle donne. L’Afghanistan era stato anche eletto all’Unesco per quattro anni (2019-2023) e nella Commissione sui narcotici. Ora c’è aria di ritorno dei Talebani sulla scena internazionale e potremmo presto vederli seduti in qualche commissione Onu.
 

Il mese scorso, i talebani hanno nominato il loro ambasciatore in Cina, il primo diplomatico ufficialmente accreditato. Ciò ha fatto seguito alla decisione di Pechino dello scorso settembre di nominare il suo ambasciatore in Afghanistan, anch’essa una prima assoluta. E il Giappone intrattiene piene relazioni diplomatiche con i talebani dal 2021. Lo scorso ottobre, il nuovo ambasciatore giapponese Takeyoshi Kuramaya ha promesso di “migliorare le relazioni con Kabul”.
 

Il ministro dell’Industria e del Commercio dei talebani, Nooruddin Azizi, ha detto che l’Afghanistan ha rapporti commerciali con sessanta paesi, tra cui India, Cina e Pakistan, e sta usando queste relazioni per lavorare verso l’“autosufficienza”, dimostrando che i talebani non sono così isolati come si pensava una volta dopo la fuga occidentale da Kabul nell’estate del 2021. I talebani, a quanto pare, hanno vinto un astuto gioco di pazienza con la comunità internazionale.
 

E il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, parlando alla School of Public and International Affairs di Princeton (precedentemente nota come Woodrow Wilson School, ma prima che i woke gli cambiassero nome perché Wilson sulla razza era poco evoluto), ha chiesto il riconoscimento del governo dei Talebani da parte della comunità internazionale.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.