Il treno espresso Cina-Europa che parte da Urumqi per l'Uzbekistan (foto di Yang Huafeng/China News Service via Getty Images) 

La cura del ferro di Xi attraverso l'Asia centrale per marginalizzare Putin e conquistare monopoli

Davide Cancarini

La ferrovia Cina-Kirghizistan-Uzbekistan è un nuovo collegamento strategico che bypassa il territorio russo e la transiberiana. Così Pechino finanzia il progetto con 4,7 miliardi di dollari, consolida la sua influenza nella regione e mette in difficoltà Mosca

Cina e Russia: sulla carta tanto vicine quanto poi nei fatti, spesso, lontane. È con grande enfasi che Pechino qualche giorno fa ha annunciato al mondo la conclusione dell’accordo per la realizzazione di un collegamento ferroviario che unirà la sua regione più occidentale – lo Xinjiang – all’Uzbekistan, passando per il Kirghizistan. I leader dei tre paesi non hanno mancato di partecipare a una conferenza video congiunta, felicitandosi l’un l’altro per il successo ottenuto. Perché l’opera è stata per decenni oggetto di discussioni che sembravano non portare da nessuna parte. E che invece alla fine si sono concretizzate in un progetto che consentirà alla Repubblica popolare di sfruttare una rotta di scambio commerciale alternativa a quella più settentrionale, attraverso il territorio del Kazakistan e della Russia. Di cui Xi Jinping ha mostrato in più di un’occasione di non fidarsi, spingendo anche per lo sviluppo di infrastrutture strategiche malviste dal Cremlino.

 
Oltre a rappresentare un successo dal punto di vista politico-diplomatico, la ferrovia Cina-Kirghizistan-Uzbekistan, una volta conclusa, sarà anche un importante traguardo dal punto di vista tecnico. Uno degli ostacoli principali che gli ingegneri impegnati nell’opera dovranno superare è infatti legato alla natura fisica dell’area interessata. Il territorio che i treni attraverseranno è talmente complesso che, è stato stimato, dovranno essere realizzati più di 50 tunnel e 90 ponti per concluderla. E tutto questo per poco più di cinquecento chilometri di collegamento. 

    
Altro tema estremamente spinoso, visti anche i precedenti della Cina su questo fronte, quello legato all’investimento necessario allo sviluppo dell’infrastruttura. Inizialmente non sono stati diffusi dettagli relativamente alla dimensione finanziaria, salvo poi scoprire che Pechino si farà carico di poco più della metà del denaro da mettere sul tavolo – una cifra attorno ai 4,7 miliardi di dollari – e che la restante quota sarà divisa in parti uguali tra Uzbekistan e Kirghizistan. Se il primo faticherà a mettere insieme l’ammontare richiesto, per il secondo è invece una certezza non disporne. Le autorità kirghise dovranno ricorrere a un prestito, che verrà fornito proprio dalla Repubblica popolare. Una mossa tanto scontata quanto al limite, considerando che già oggi oltre il 40 per cento del debito pubblico di Bishkek si trova in mani cinesi e che, teoricamente, la legge kirghisa impone che l’importo massimo del debito nei confronti di un solo creditore non possa superare il 45 per cento. Stando ad alcune analisi riportate da media locali, Pechino dovrà aggiornare il rating del debito del Kirghizistan, portandolo da medio ad alto rischio, per poter procedere a sbloccare il denaro. Ma la leadership di Bishkek concede già oggi alle maestranze cinesi sul suo territorio sostanziale mano libera, rinunciando all’obbligo di visto e alle norme fiscali normalmente applicate. Una prima cessione di sovranità. 

  
Come detto, la rilevanza maggiore della ferrovia Cina-Kirghizistan-Uzbekistan risiede però nel significato che ha se letta alla luce della relazione bilaterale tra Pechino e Mosca. I tempi di transito delle merci sulla rotta est-ovest dovrebbero essere tagliati di circa otto giorni e, soprattutto, il trasporto avverrà evitando il territorio russo e la ferrovia transiberiana. Forse non del tutto, ma sicuramente per una buona quota dell’enorme quantitativo commerciato. Un vantaggio enorme per Xi Jinping – che già mette alle strette la controparte russa sul fronte del gas naturale, acquistato a prezzi da svendita – che toglie a Vladimir Putin uno dei pochi poteri di influenza che l’immenso territorio russo ancora garantiva al leader del Cremlino. Lo stesso dicasi per il Kazakistan, alleato di ferro della Cina nella regione, sacrificato sull’altare degli interessi nazionali del gigante asiatico. Un gigante consapevole delle sue fragilità e che non si fa alcun problema a mettere all’angolo i presunti partner più stretti per provare a ridurle.