medio oriente

La guerra non basta per liberarsi di Hezbollah

Micol Flammini

Israele valuta gli obiettivi e pensa al fattore della popolazione libanese per fare pressione

Con Hezbollah, “Israele deve fare quello che deve fare”, ha detto un funzionario dell’Amministrazione americana al sito di notizie Politico. Vuol dire che gli Stati Uniti non hanno intenzione di trattenere l’esercito israeliano se cercherà una soluzione militare per fermare gli attacchi quotidiani e sempre più profondi del gruppo sciita che colpisce dal Libano. Gli Stati Uniti hanno tentato vari sforzi per far capire a Hezbollah che trascinare Israele in guerra è un errore che imporrebbe al Libano delle conseguenze devastanti. Israele ha cercato la soluzione diplomatica, mentre mette in fila i piani per colpire il gruppo in modo deciso ricorda la risoluzione 1701, il numero magico che avrebbe dovuto evitare tutta questa tensione al confine e secondo la quale Hezbollah non dovrebbe operare armato sotto il fiume Leonte.  La guerra tra Israele e Hezbollah c’è già, è iniziata assieme a quella contro Hamas, quando il gruppo ha attaccato dal Libano, ancora non è combattuta nelle piene capacità dei due eserciti e per questo si tende a dire che la tensione è al limite. Quarantatré comunità nel territorio israeliano in un raggio di cinque chilometri dal confine sono state evacuate per paura degli attacchi e anche di un’invasione di terra, c’è una parte di Israele che è disabitata e questo agli occhi del nemico viene visto come un punto di vulnerabilità. Circa sessantamila persone non vivono più nelle loro case, sono sparse per il paese, in alberghi o appartamenti in affitto, qualcuno lavora da remoto, qualcuno vive con i sussidi dello stato. Il governo ha provato a fissare al primo settembre la data per il ritorno degli evacuati, ma è suonata come una promessa vana: cosa potrebbe far cambiare le cose tanto da poter assicurare ai cittadini di essere di nuovo al sicuro? Solo la guerra o la diplomazia possono fornire soluzioni e Israele soppesa con attenzione cosa porterebbe un attacco diretto e cerca di capire la reazione della popolazione libanese.

 

Israele per ora sta agendo per eliminare le capacità di Hezbollah, che ha un grande arsenale in grado di lanciare munizioni nell’ordine delle migliaia al giorno. E’ improbabile che tutto possa essere distrutto con un unico attacco ed è certo che Hezbollah reagirebbe con forza: è molto più difficile da scardinare rispetto a Hamas, è un partito, è autonomo economicamente, ha un rapporto simbiotico con l’Iran. Uno degli obiettivi di una guerra vasta potrebbe essere quello di movimentare la popolazione libanese. Hussein Attayah, un commentatore libanese, sul sito Janubiyya ha presentato una sfilza di domande a Hezbollah e al suo leader, Hassan Nasrallah, che la scorsa settimana ha minacciato una guerra totale. Il giornalista ha chiesto: “Ci sono risorse mediche? Gli ospedali sono preparati per centinaia se non migliaia di feriti? Ci sono ospedali di riserva nel caso in cui gli ospedali venissero bombardati nella guerra totale? Sono stati preparati ospedali da campo? Le stazioni di servizio hanno messo da parte abbastanza benzina? Saranno in grado di dare rifornimento alle ambulanze? Sono state preparate alternative per ponti e strade principali se vengono bombardati? (…) Sono state immagazzinate sufficienti quantità di farina per consentire la fornitura di pane, o gli abitanti del sud saranno abbandonati al loro destino come gli abitanti di Gaza sono stati abbandonati alla fame? Sono state prese in considerazione tutte queste domande in modo che tu, la tua resistenza e il tuo partito possiate sconfiggere il nemico, o tu e la tua organizzazione non vi preoccupate dell’intera nazione?”. I libanesi hanno protestato più volte, sono consapevoli della situazione economica, non vogliono la guerra e l’opposizione a Hezbollah lo dice chiaramente, ma non è detto che scenderanno in piazza  per fare pressione contro il gruppo che gli ha portato la guerra in casa, anzi esiste il rischio di una reazione inversa. Ieri il ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, era a Washington e ha incontrato il segretario Lloyd Austin, che ha riaffermato il sostegno americano dicendo: “Stiamo cercando urgentemente un accordo diplomatico che ripristini una calma duratura al confine settentrionale di Israele e consenta ai civili di tornare sani e salvi alle loro case su entrambi i lati del confine tra Israele e Libano”. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)