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Un paese in bilico

In Kenya il governo ha tradito tutte le promesse e ha fatto arrabbiare la generazione Z

Maurizio Stefanini

Da ormai due settimane la capitale Nairobi è assediata. I giovani protestano contro l'aumento delle tasse voluto dal governo di William Ruto per superare l'alta inflazione dovuta alla guerra in Ucraina

Quasi due anni fa William Ruto fu eletto presidente del Kenya con il 50,49 per cento dei voti: aveva vinto l’immagine del self-made man che andava a scuola a piedi nudi, che aveva indossato il primo paio di scarpe a 15 anni, e che vendeva polli e arachidi in strada, diventando poi uno dei più facoltosi coltivatori di mais del Kenya. Aveva inoltre spezzato le due dinastie politiche che avevano retto il paese dall’indipendenza, gli Odinga e i Kenyatta, promettendo sanità gratis, aiuti alle imprese, reddito di cittadinanza, facendo appello alla “nazione degli hustler”, cioè i tanti kenyani poveri che si guadagnano da vivere con lavori informali, a cui alludeva anche il suo simbolo elettorale della carriola. Neanche due anni dopo, è stata la stessa massa di giovani poveri e speranzosi  a rivoltarsi contro di lui e il potenziale aumento delle tasse che, due giorni fa, alla fine è stato ritirato dopo proteste anche violente, con il Parlamento dato alle fiamme, e che hanno portato a un bilancio provvisorio di 24 morti, 230 feriti e 283 arresti.

   

   

Lanciata sui social network, la protesta a Nairobi è iniziata il 18 giugno scorso in maniera pacifica, pur con arresti ampiamente condannati. Il giorno successivo il Parlamento ha modificato il disegno di legge, eliminando alcune tra le clausole più controverse. Poi, una settimana fa la legge è stato comunque approvata, e le proteste si sono fatte più dure. Corrado Cok, visiting fellow dell’European Council on Foreign Relations di base a Nairobi, spiega al Foglio che l’inflazione alta in Kenya è dovuta sia alle conseguenze della guerra in Ucraina, sia a un programma di ristrutturazione della finanza pubblica che il governo Ruto ha iniziato l’anno scorso, e che ha portato anche lo scellino kenyota a essere una delle monete che si è più rivalutata. “Questa situazione viene percepita particolarmente dai giovani e dalle classi medie e medio-basse, e ciò spiega perché queste non sono le stesse proteste che c’erano magari l’anno scorso o due anni fa, principalmente portate avanti da attori politici che mobilitavano persone degli informal settlements e degli slum”, dice Cok. “Questa è una protesta di giovani anche educati, istruiti, che vivono in un paese in cui le possibilità sono poche per loro e in cui pesa l’inflazione e pesa anche questo programma di riaggiustamento con ulteriori tasse. Se a questo aggiungiamo il fatto che il governo Ruto ha anche aperto nuovi uffici molto criticati e ha aggiunto delle spese, si crea il mix di malcontento che ha portato in piazza nell’ultima settimana in diverse occasioni i giovani della generazione Z”. E dopo le vittime, ormai “c’è una certa rabbia tra i manifestanti, che a questo punto chiedono la fine del governo Ruto al di là del Finance Bill”.
   

   
“Ruto in campagna elettorale aveva puntato tutto sui giovani e giovanissimi, a cui aveva promesso di ridurre la disoccupazione, di aumentare la qualità di vita, di tirare su l’economia”, dice al Foglio il giornalista specializzato in affari africani, Matteo Giusti. “Ma invece in questi due anni di mandato le cose sono rimaste le stesse se non sono peggiorate”. Secondo Giusti, Ruto ha anche fatto l’errore di “non aver capito che questa era una protesta reale, perché era una settimana che manifestavano in maniera pacifica. Però in maniera numerosa, in maniera chiassosa e con istanze molto, molto forti”. “Quella del Kenya è un’economia in grandissima difficoltà” dice Giusti, “che viene tenuta su dagli enormi prestiti internazionali. Dopo l’ultimo prestito del Fmi, di 941 milioni, probabilmente ci saranno altri interventi. Il Kenya è un paese stabile e affidabile in una regione chiave, ed è anche una potenza regionale, che manda i suoi soldati dove ce ne è bisogno. Adesso, anche ad Haiti”.
 

 
Insomma, “il Kenya è l’alleato strategico più importante degli Stati Uniti e dell’amministrazione Biden, che lo utilizza per restare nel continente africano e contrastare l’avanzata di Emerging Powers come russi, cinesi o turchi. In più ci sono problematiche sociali importanti: il nord del paese è al confine con la Somalia, e soffre di infiltrazioni jihadiste da parte di al-Shabaab somali da anni”. Secondo questa analisi, questo interesse potrebbe aiutare Ruto a restare al potere, nonostante tutto. Ma il problema di lungo termine resta, perché dare altri prestiti per pagare interessi non risolve il dato strutturale del 40 per cento della ricchezza prodotta ogni anno dal Kenya che va nel solo pagamento degli interessi. “L’aumento delle tasse era necessario per trovare 2,7 miliardi di dollari da dare, altrimenti taglieranno tutti i sussidi e tutti gli aiuti statali”.

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