Orbán è pronto a regalare il suo semestre europeo a Pechino

Giulia Pompili

La leadership cinese aspetta con ansia la presidenza di turno del Consiglio dell’Ungheria, e c’è un motivo. La telefonata di Szijjártó a Wang Yi, l'auto elettrica e le sanzioni

L’altro ieri il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha telefonato al suo omologo cinese Wang Yi e gli ha spiegato che durante la presidenza di turno ungherese l’Unione europea cercherà un rafforzamento delle relazioni con Pechino e di creare “un ambiente favorevole” per la seconda economia del mondo. La telefonata è irrituale – perché mai  Szijjártó dovrebbe spiegare l’agenda ungherese a Pechino? – ma segue il rafforzamento delle relazioni fra il governo guidato da Viktor Orbán e la leadership cinese di Xi Jinping. La Cina si aspetta molto dall’Ungheria in questo semestre, e lo ha sottolineato Wang un mese fa, durante la visita di Szijjártó a Pechino, e lo stesso Xi nella strategica visita all’inizio di maggio a Budapest, durante la quale oltre a commercio e business ha offerto a  Orbán più cooperazione in materia di sicurezza pubblica e forze dell’ordine, per combattere “terrorismo e crimini transnazionali”, tema che quasi sempre in Cina coincide con repressione dei dissidenti e di potenziali oppositori politici.

La presidenza ungherese arriva tempestiva per la Cina, che sta cercando in tutti i modi di evitare i dazi sull’auto elettrica da parte dell’Ue. Sono quelli che dovrebbero entrare in vigore il 4 luglio prossimo dopo una lunga indagine della Commissione e ai quali Pechino aveva risposto con una simile indagine antidumping sull’import di carne di suino, e sono il motivo per cui Pechino, con una telefonata due giorni fa tra il commissario Ue Valdis Dombrovskis e il ministro cinese del Commercio Wang Wentao,  ha chiesto di riattivare il dialogo “a tutti i livelli” per evitare “una guerra commerciale con l’Ue”. Ma le istituzioni  di Bruxelles non si fidano più della Cina, non come ai vecchi tempi, e c’entra anche il sostegno alla Russia: nel 14° pacchetto di sanzioni contro Mosca ci sono anche 19 aziende cinesi, tra cui due colossi dell’industria satellitare, che hanno indispettito non poco Pechino. In questi giorni, per questioni di cerimoniale diplomatico, in Cina  è arrivato il presidente polacco Andrzej Duda – la Polonia presiederà il prossimo semestre europeo dopo l’Ungheria, come sottolineato da tutti i media cinesi – ma sabato scorso nella capitale cinese era arrivato anche il vicecancelliere tedesco Robert Habeck, a cui vistosamente non è stato concesso alcun incontro con la leadership cinese dopo aver detto che la colpa del deterioramento dei rapporti tra Berlino e Pechino è il sostegno di quest’ultima alla guerra di Putin.

La leadership cinese guarda con interesse ai prossimi sei mesi europei, e soprattutto al nuovo Parlamento e alle forze di estrema destra entrate in campo: è proprio a loro che la diplomazia cinese, di recente, si è rivolta di più. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.