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Per von der Leyen inizia la terza campagna elettorale. I meloniani non bastano per vincerla

David Carretta

Per la presidente della Commissione, in cerca del bis, “è un campo minato”. I numeri della maggioranza europeista sono più fragili di cinque anni fa, quando la nomina passò per appena nove voti, grazie all’appoggio di forze fuori dalla maggioranza, come PiS e M5s

Ursula von der Leyen sta per iniziare la sua terza campagna elettorale in tre mesi, una volta superata la tappa della conferma per un secondo mandato come presidente della Commissione da parte dei capi di stato e di governo dell’Unione europea. L’accordo al vertice europeo iniziato oggi include l’ex premier socialista portoghese, Antonio Costa, come successore di Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo, e la premier estone, Kaja Kallas, al posto di Josep Borrell come Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza. Ma Costa e Kallas sono blindati, perché non dovranno ottenere un voto di fiducia personale al Parlamento europeo. La plenaria di Strasburgo è chiamata a “eleggere” il presidente della Commissione proposto dai leader.

La data è fissata al 18 luglio. Per von der Leyen “è un campo minato”, dice al Foglio un diplomatico dell’Ue. I numeri della maggioranza europeista sono più fragili di cinque anni fa, quando von der Leyen passò per appena nove voti grazie all’appoggio di forze fuori dalla maggioranza, come il PiS polacco e il M5s. L’incertezza sulla conferma della presidente ostacola le trattative dell’Italia e di altri paesi sulle vicepresidenze della Commissione e i portafogli dei commissari. La maggioranza europeista formata da Ppe, socialisti e liberali di Renew attualmente può contare su circa 400 seggi su 720 al Parlamento europeo. A von der Leyen ne servono 361 per essere confermata il 18 luglio. Nel 2019 vennero a mancare i voti di quasi un centinaio di deputati popolari, socialisti e liberali. La situazione è cambiata in meglio e in peggio per Ursula. A differenza di cinque anni fa, questa volta è la Spitzenkandidat del Ppe e il Parlamento europeo ci tiene al principio del candidato capofila dei partiti europei. Von der Leyen non è amata da molti all’interno della maggioranza. Ma la necessità di fare muro contro l’estrema destra spinge gli europeisti a compattarsi. Eppure i franchi tiratori sono sempre in agguato.

Le linee rosse incrociate sui Verdi e Giorgia Meloni limitano le opzioni a disposizione di von der Leyen. Ottenere il via libera da parte del Consiglio europeo, dove domina il Ppe, era la campagna elettorale più facile. “Al Parlamento europeo è molto più complicato”, spiega il diplomatico dell’Ue: “Qualsiasi mossa sbagliata dovesse fare, von der Leyen perderebbe voti”. La squadra von der Leyen e gli strateghi del Ppe stimano che mancano una cinquantina di voti per non correre il rischio di una bocciatura. I franchi tiratori della maggioranza potrebbero essere tra il 10 e il 15 per cento. Nemmeno il Ppe è compatto: i francesi dei Républicain e gli sloveni dell’ex premier Janez Jansa hanno già detto che voteranno contro. La campagna per recuperare ogni singolo voto è già iniziata. Von der Leyen è stata al Parlamento europeo tutta la settimana. Nelle prossime due continuerà a incontrare i gruppi politici, i capi delegazione e i singoli deputati. Farà promesse per accontentare questo o quello, rimanendo il più discreta possibile. Perché von der Leyen in pubblico ha le mani legate.

I Verdi hanno offerto di entrare nella maggioranza. Sono pronti a mostrarsi pragmatici sul Green deal. Hanno 54 deputati, esattamente ciò che manca a von der Leyen per assicurarsi la conferma in Parlamento. Ma il Ppe è assolutamente contrario ad allargare la maggioranza ai Verdi. Anche impegni pubblici di von der Leyen sul Green deal per ottenere un appoggio esterno sono indigesti ai suoi compagni di partito. Il Ppe e la stessa Cdu – il partito di von der Leyen – vogliono cancellare la data del 2035 sulle auto elettriche. Per non inciampare con i Verdi, von der Leyen si era concentrata su Giorgia Meloni. Le molte concessioni fatte alla premier italiana nell’ultimo anno e mezzo dovevano servire anche a convincere gli eurodeputati di Fratelli d’Italia a votare la fiducia. Prima delle elezioni la presidente della Commissione ha definito Meloni “pro europea, pro Ucraina e pro stato di diritto”. Alcuni capi di stato e di governo del Ppe – come il polacco Donald Tusk e l’austriaco Karl Nehammer – hanno mostrato la volontà di ricucire con Meloni, negando di aver voluto prendere decisioni sulle nomine alle sue spalle. Nei prossimi giorni von der Leyen incontrerà il gruppo dei Conservatori e riformisti europei. Ma non potrà assumere impegni pubblici con Meloni e i suoi: troppo alto il rischio di perdere voti tra i socialisti e i liberali, che hanno messo una linea rossa sul presidente del Consiglio italiano. Vale anche per il commissario italiano. Una delle tradizionali merci di scambio sono i posti di vicepresidente esecutivo della Commissione.

Nel 2019 furono attribuiti da von der Leyen a tre rappresentanti della maggioranza europeista: Valdis Dombrovskis per il Ppe, Frans Timmermans per i socialisti e Margrethe Vestager per i liberali. Nella struttura piramidale della Commissione sono quelli i tre posti che contano di più. La funzione di vicepresidente non esecutivo può essere prestigiosa, ma è meno importante di un commissario con un portafoglio importante. Sono i commissari ad avere il controllo delle direzioni generali del settore di cui sono competenti. I vicepresidenti esecutivi a loro volta controllano i commissari. Se von der Leyen dovesse impegnarsi oggi a concedere un posto di vicepresidente esecutivo all’Italia di Meloni, darebbe l’impressione di un ingresso del gruppo Ecr in maggioranza. Per socialisti e liberali la linea rossa verrebbe superata. A von der Leyen è stato detto di negoziare con Meloni sul commissario e consigliato di attendere il voto al Parlamento europeo, almeno per fare annunci in pubblico. “I vicepresidenti esecutivi della Commissione si materializzeranno dopo il 18 luglio”, spiega un funzionario. Una volta ottenuta la fiducia in Parlamento, von der Leyen avrà finalmente le mani libere per i prossimi cinque anni.