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Un esperimento chiamato Bardella: “E' stato costruito a tavolino per sfondare alle elezioni”
Parla Pierre-Stéphane Fort, giornalista francese e autore di un libro a metà tra inchiesta e biografia sull'astro nascente della politica francese. "Le Pen lo ha scelto perché è perfetto per ciò che aveva in mente. Ma lui non è un leader, è un esperimento di comunicazione”
“E’ ovvio che Jordan Bardella funziona. E’ fatto apposta per funzionare. E’ un perfetto prodotto di marketing, costruito a tavolino per sfondare alle elezioni. Un progetto comunicativo, costruito con un algoritmo”. A parlare così è Pierre-Stéphane Fort, giornalista francese e autore del libro Le grand remplaçant, il grande rimpiazzo, tra una biografia e un’inchiesta sull’astro nascente della politica francese (e forse, chissà, persino europea) Jordan Bardella.
Bardella è il 28enne che Marine Le Pen ha scelto per guidare il Rassemblement National al suo posto. Una delega a metà, a dire il vero, dal momento che Le Pen non è mai uscita dalla scena e non ha fatto nessun passo indietro nè di lato, ma nel suo continuare a guidare il partito ha deciso di farlo mandando avanti qualcun’altro. Un ragazzo che non avesse un nome e un passato ingombrante come il suo. Qualcuno che potesse arrivare lì dove lei non poteva arrivare: al voto delle élite moderate urbane, dei giovani e delle donne. “Le Pen ha scelto Bardella per il semplice motivo che è perfetto per ciò che lei aveva in mente: giovane, con un aspetto curato e soprattutto con una storia umana e personale con un alto tasso di empatia e narratività”, dice Pierre-Stéphane Fort.
La sua storia personale, su cui Bardella insiste molto ogni volta che si trova davanti un microfono è quella del ragazzo immigrato cresciuto in una delle peggiori banlieue di Parigi, Saint-Denis, cresciuto da una madre single sempre a fare i conti con i soldi. Secondo il giornalista francese “la storia di Bardella è perfetta, perché è una storia di riscatto sociale quasi cinematografica, in cui molti si possono riconoscere, specie in opposizione alle detestate élite urbane uscite dall’Ena, impersonificate da Emmanuel Macron. Ma non c’è solo questo. C’è anche il fatto che Bardella può dire cose razziste perché nessuno può accusarlo di essere razzista, visto che è immigrato; può dire cose misogine perchè nessuno può accusarlo di essere misogino, visto che non fa altro che parlare di sua madre; può dire cose conservatrici, perché nessuno può accusarlo di essere un conservatore, visto che ha 28 anni. Ma c’è un problema: niente di tutto questo è vero”.
Nella lettura e nei risultati dell’inchiesta di Fort, il messaggio di Bardella è credibile, ma in realtà non è autentico. “Non lo è per due ragioni: la prima è che il background di emarginazione e di difficoltà economica che Bardella sbandiera ai quattro venti non è del tutto fondato. Lui parla sempre della madre e delle sue difficoltà. Ma non nomina mai il padre, che era di estrazione borghese, alla guida di una piccola azienda, e ha avuto un ruolo nel rendere la vita del figlio non poi così misera. Sappiamo per esempio che, da adolescente, Bardella ha trascorso lunghe vacanze negli Stati Uniti, che ha avuto in regalo una Smart a 18 anni, che finite le scuole è andato a vivere in un appartamento nelle disponibilità del padre. Non c’è niente di male, intendiamoci. Solo che non è la storia del tipico ragazzo della banlieue che Bardella pretende di incarnare”.
Tutto vero, ma una Smart avuta a 18 anni o un viaggio negli Stati Uniti possono annullare il fatto, reale, di essere cresciuto in uno dei quartieri più difficili di Francia? “No, nessuno nega il passato di Bardella. Ma il punto è la sua selezione precisa di cosa raccontare o non raccontare. E qui entra in gioco la seconda ragione per cui la sua storia non ha credibilità”. Questa seconda ragione, racconta Fort, si chiama Pascal Humeau: “Humeau è stato per lungo tempo un giornalista piuttosto noto. Poi, a un certo punto, ha lasciato il giornalismo per mettersi a fare lo spin doctor e il consulente di comunicazione per politici. Nel 2018 riceve da Marine Le Pen in persona l’incarico di formare il suo nuovo portavoce, il 22enne Bardella”. Il racconto della collaborazione tra Humeau e Bardella, finita poi malissimo, occupa gran parte del libro di Fort. “Il racconto che Humeau fa del suo rapporto con Bardella sembra uscito dal Pigmalione: dice di averlo formato da zero. Racconta di averlo formato non solo dal punto di vista della comunicazione e dell’eloquio, ma anche da quello culturale: dice che al momento del loro incontro, Bardella non leggeva, non si informava, non sapeva niente né della politica né dell’attualità francese”. Il fatto che l’aspirante premier francese abbia fatto ripetizioni ne mina dunque la credibilità? Non lo fanno forse tutti? “Il punto non è quando ha iniziato a studiare e informarsi. Il punto è perché”, continua Fort. “E il perché è che lui, la sua figura, il suo messaggio sono costruiti a tavolino per vincere queste elezioni. Bardella non è un leader. E’ un esperimento di comunicazione”.
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