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Il negoziato Ue lascia intravvedere uno schema: Meloni è dentro
Il polacco Donald Tusk e il premier greco Kyriakos Mitsotakis aprono alla premier. I leader popolari fanno capire che Roma avrà l’incarico che merita, insistendo però sul peso dell'Italia e non su quello del gruppo dei Conservatori, dove intanto volano gli stracci
Le trattative per la guida della nuova Commissione Ue mettono in evidenza le due identità di Giorgia Meloni: al vertice Ue, infatti, c’è poco spazio per la leader di Ecr, mentre le porte si spalancano per la presidente del Consiglio italiano. Meloni, forse alleggerita dal peso dei suoi alleati più bizzosi europei, ma chissà, viaggia più veloce, e infatti i leader popolari fanno di tutto per riportarla in gioco, facendo capire che Roma avrà l’incarico che merita, come Paese però e non come gruppo politico.
“Non c’è decisione senza il primo ministro Meloni,” spiega nel pomeriggio il polacco Donald Tusk, che la settimana scorsa aveva freddato Meloni spiegando che “non c’era bisogno di lei per trovare una maggioranza per il bis di von der Leyen.” Aperture anche dal premier greco Kyriakos Mitsotakis: “Personalmente ho molto rispetto per Giorgia Meloni, il primo ministro italiano. L’Italia è un Paese molto importante nell’Ue e sono sicuro che affronteremo tutti questi problemi e preoccupazioni nelle discussioni che avremo”.
A fare da ponte ci pensa infine il premier cipriota Nikos Christodoulides, che ieri si è ritagliato un bilaterale privato con la premier italiana, per garantire che non sarà esclusa dagli accordi e che “il ruolo del governo italiano è imprescindibile.”
Ma quando si parla di Ecr cambiano i toni: il Ppe evita di parlarne, mentre socialisti e liberali non vogliono neanche sentir nominare il gruppo conservatore e sono pronti a far saltare qualsiasi accordo per la guida della Commissione UE dovesse figurare Ecr tra le sue righe. Un niet ripetuto dal cancelliere Scholz a porte chiuse al prevertice dei socialisti Ue: “Non si collabora con le destre.”
Mentre Meloni tratta con i leader Ue, in casa Ecr però volano gli stracci. Il gruppo guidato dal meloniano Nicola Procaccini fatica a contenere la fronda polacca ed è costretto a rimandare di una settimana la riunione costitutiva. In un’intervista a orologeria, rilasciata la mattina del vertice Ue, l’ex primo ministro polacco Mateusz Morawiecki spiega infatti che il Pis sta valutando di abbandonare il gruppo, una minaccia forse solo pensata per alzare la posta in gioco nella trattativa per le nuove cariche di gruppo.
Dietro al mal di pancia dei polacchi spunta anche lo zampino dell’amico Orbán. L’ungherese è al lavoro per creare all’Eurocamera un nuovo gruppo, rubando un po’ da Ecr, e punta a costruire una nuova famiglia politica euroscettica compattata sulla cartina dei Paesi Visegrad, includendo anche i transfughi di Ecr. Gruppo che potrebbe essere ufficializzato già entro il 4 luglio, spiega ai cronisti Balázs Orbán, consigliere politico del premier ungherese, che non risparmia una stoccata alla premier italiana: “Volevamo fare un gruppo con le destre italiane e francesi, ma hanno preferito altro.”
Ma di alleati scomodi Meloni ne ha anche in casa. “Quello che sta accadendo sulle nomine Ue puzza di colpo di stato,” commenta il leader della Lega Matteo Salvini, un commento che atterra direttamente sul tavolo del vertice di Bruxelles, imbarazzando la premier.
Ma Meloni tira dritto. In serata, intanto, gli sherpa del vertice Ue fanno sapere che la premier italiana porta al tavolo “un approccio costruttivo.” Il pacchetto di tre nomine presentato da socialisti, liberali e popolari infatti è sempre più blindato. I nomi di von der Leyen, Costa e Kallas attraversano la prima giornata del vertice Ue senza grandi imboscate; Meloni, infatti, per ora non mette in discussione il pacchetto negoziale e rimane al tavolo di chi decide.
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