Lo scudo francese

Indebolito, Macron punta sul commissario Thierry Breton per governare von der Leyen e i lepenisti

David Carretta

Il presidente francese vuole confermare il suo uomo come commissario europeo per sostenere l'autonomia strategica, ma la sua influenza nelle decisioni è sempre più scarsa: gli altri membri del Consiglio europeo si stanno man mano allineando alle posizioni di Meloni su green deal e immigrazione

Bruxelles. Nonostante la possibile coabitazione con un governo di estrema destra in Francia, Emmanuel Macron non vuole rinunciare a pesare nell’Unione europea. Il presidente vuole confermare come commissario europeo Thierry Breton, l’uomo che da cinque anni porta avanti metodicamente i progetti di autonomia strategica. Ma, dietro le apparenze, l’influenza di Macron sull’Ue è sempre più debole. Giorgia Meloni si è isolata sulle nomine. Ma sulle politiche dell’Ue continua a segnare punti. Sempre più leader sono dalla sua parte su Green deal o migranti. È accaduto anche al Consiglio europeo di giovedì.
 

Il Consiglio europeo ha trovato un accordo sui leader delle istituzioni comunitarie per i prossimi cinque anni. Ursula von der Leyen è stata confermata presidente della Commissione e ora deve ottenere la fiducia del Parlamento europeo (per la tedesca del Ppe non sarà facile ottenere i 361 voti necessari il 18 luglio). L’ex premier socialista portoghese, António Costa, sarà il nuovo presidente del Consiglio europeo. La premier liberale estone, Kaja Kallas, è stata scelta come Alto rappresentante per la politica estera. Meloni ha votato contro Costa e Kallas, mentre si è astenuta su von der Leyen, giustificandosi con ragioni di “metodo e merito”, anche se non ha offerto proposte alternative. È rimasta isolata con il premier ungherese, Viktor Orbán, che ha votato a favore di Costa, si è astenuto su Kallas e ha detto “no” a von der Leyen. Tutti gli altri leader – compresi gli alleati di Meloni (il premier ceco, il conservatore Petr Fiala) e di Orbán (il presidente slovacco, Peter Pellegrini che rappresentava il premier populista, Robert Fico) – hanno approvato il trio concordato dai negoziatori del Partito popolare europeo, dal Partito socialista europeo e dai liberali di Renew. I tre non erano la prima scelta di Macron. Ma la disfatta alle elezioni europee del 9 giugno e la decisione di sciogliere l’Assemblea nazionale hanno tolto le carte dalle mani del presidente francese. Tuttavia von der Leyen, Costa e Kallas sono compatibili con Macron. Per lui è un successo, anche se a metà.
 

Eppure diversi partecipanti al Consiglio europeo sono usciti dalla riunione giovedì con la convinzione di una debolezza di Macron e Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, molto più forte di quella che lasciano trasparire in pubblico. Prima che i capi di stato e di governo alzassero la mano per votare sui tre nomi, il presidente francese e il cancelliere tedesco avevano cercato di presentare una serie di emendamenti comuni all’Agenda strategica, il documento che fissa le priorità dei prossimi cinque anni. L’obiettivo era rafforzare il Green deal, escludere il modello Ruanda o Albania sui migranti e aggiustare il linguaggio sulla politica di difesa. La reazione degli altri leader è stata quasi unanime: il testo era già stato negoziato con difficoltà, non c’era ragione di rimetterci mano. Alcuni sono stati colti dal sospetto che Macron e Scholz volessero isolare ulteriormente Meloni, in particolare dando più risalto alle politiche ambientali e limitando le innovazioni nelle politiche migratorie. Meloni ha guidato l’ammutinamento di fronte al tentativo di Macron e Scholz di rilanciare il Green deal e affossare il modello Albania. “Non è Meloni a dividere il Consiglio europeo. Sono Francia e Germania”, ha detto al Foglio uno dei partecipanti. Rimasti soli, il presidente francese e il cancelliere tedesco hanno ritirato i loro emendamenti.
 

La nomina di Breton da parte di Macron è un modo per rilanciare. Carattere forte e spavaldo, Breton dovrebbe servire a “marcare stretto” von der Leyen. La presidente della Commissione in passato non ha sempre rispettato le promesse fatte a Macron, al contrario. I rapporti tra von der Leyen e il commissario francese sono degenerati nell’ultimo anno. Breton ha contestato alla presidente della Commissione la sua gestione centralizzata. Il presidente francese vorrebbe per Breton un portafoglio che copre tutti gli aspetti dell’autonomia strategica, compresi il rafforzamento dell’industria della difesa e un nuovo approccio sugli aiuti di stato. Breton potrebbe servire anche da contrappeso a un eventuale governo guidato da Jordan Bardella. Il Rassemblement national si prepara già a contestare la competenza di Macron per la nomina del commissario, anche se non esiste una norma costituzionale chiara. Le tensioni istituzionali su chi decide la politica europea tra presidente e primo ministro sono destinate a “perturbare” la forza della Francia nell’Ue e la sua capacità di mantenere la parola data, dice un funzionario europeo. Macron è debolissimo. E “non è una buona notizia per l’Europa”.