Boicottare l'imbroglio Bds
L’antisemitismo nelle università e al supermercato. Perché il movimento “Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” non ha nulla a che vedere con la difesa dei diritti umani ma è una minaccia per Israele e pure per le democrazie occidentali
Che ne dite? Li boicottiamo i datteri coltivati a Gerico (Autorità palestinese) ma trasportati da ditte israeliane? La richiesta formulata da alcuni soci Coop di boicottare i prodotti israeliani ripropone il tema, mai sopito e sempre nefasto, del boicottaggio delle merci prodotte in Israele o trasportate da vettori israeliani o vendute da ditte che hanno rapporti con Israele. Il tutto deriva dalle campagne promosse dal movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), nato nel 2005 – l’anno in cui, ironia della sorte, Israele ha evacuato tutti gli insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza – grazie all’impegno, tra gli altri, di Omar Barghouti, autodefinitosi attivista per i diritti umani. Un movimento, quello del Bds, contro cui si è nuovamente espresso l’Ufficio federale tedesco per la Protezione della Costituzione, classificandolo come movimento estremista palestinese. Secondo i tedeschi infatti, dopo l’attacco di Hamas contro Israele, i gruppi affiliati al Bds hanno preso parte a raduni anti israeliani in cui veniva richiesto di porre fine all’esistenza dello Stato d’Israele. C’è da dire che il Bundestag (parlamento tedesco) già nel 2019 aveva condannato il movimento Bds come antisemita, invitando le regioni, le città e i piccoli comuni a non sostenere gli eventi organizzati dal movimento stesso.
Di fatto i tedeschi non sbagliano: in questi quasi 20 anni di attività è chiaro che si tratta di un movimento che nulla ha a che vedere con la difesa dei diritti umani, come invece ha scelto di presentarsi ingannevolmente al mondo. Il profilo di Barghouti ne è la prova. Nato in Qatar da genitori palestinesi, è cresciuto in Egitto e ha conseguito un primo master negli Stati Uniti, alla Columbia University. Già, proprio la stessa università che ha recentemente ricevuto il plauso dall’Iran per le proteste studentesche contro Israele. Successivamente si è sposato con una donna arabo-israeliana, riuscendo così a ottenere lo status di residente permanente in Israele. Da allora, nonostante ci sia ancora chi crede alle narrazioni sull’apartheid israeliana, ha conseguito un secondo master e un dottorato in Etica presso l’Università di Tel Aviv. Davvero una situazione paradossale, pensando al fatto che Barghouti – tra i principi fondanti del movimento Bds – inserirà il boicottaggio accademico delle istituzioni, degli studiosi e degli studi israeliani. Come riporta il Jerusalem Insitute of Justice, Barghouti “ha goduto di benefici inestimabili dalle istituzioni accademiche israeliane, ma promuove attivamente il boicottaggio di quelle stesse istituzioni”. E questo nonostante il fatto che, da quel che sostengono le fonti palestinesi, al momento della scelta dei suoi studi, ci sarebbero state ben 12 università palestinesi in Cisgiordania, una a Gerusalemme Est e nove a Gaza. Nonostante ciò, invece di scegliere di studiare in una qualsiasi di queste istituzioni accademiche palestinesi, come ci si aspetterebbe da un attivista del nazionalismo palestinese, Barghouti consegue ben due titoli accademici a Tel Aviv, presso un’università israeliana.
Il Bds, sostiene Barghouti, è un “movimento non violento per i diritti umani che promuove la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per il popolo palestinese”. Lotta contro l’oppressivo regime israeliano, ma non contro i singoli individui. Eppure, nel maggio del 2016, intervistato dal Jerusalem Post, Barghouti si spinge ad affermare che i palestinesi che interagiscono con gli israeliani sono “clinicamente deliranti”. Per non parlare di tutte le volte che il nostro difensore dei diritti umani ha pubblicamente disapprovato la soluzione a due stati, sostenendo di preferire l’esistenza di un unico stato palestinese, eventualmente con la presenza di una piccola minoranza ebraica al suo interno. A suo dire, uno stato ebraico e uno palestinese affiancati saranno sempre incompatibili. Mentre il Bds sembra, agli occhi dell’occidente sprovveduto, sostenere l’autodeterminazione di un popolo, di fatto il cuore del movimento mira a distruggere quella di un altro. Non per niente Barghouti parla di apartheid israeliano nonostante non lo abbia mai vissuto, di violenza sui bimbi palestinesi, senza mai condannare gli attentati suicidi compiuti dai palestinesi sui bus, nelle discoteche, nelle pizzerie, sugli scuolabus israeliani; arringa i suoi seguaci sui temi della colonizzazione, senza spiegare i rifiuti palestinesi alla creazione di un proprio stato e negando la violenza e la persecuzione contro gli ebrei nei paesi arabi. Relativamente al 7 ottobre, si concentra sul plauso agli studenti che occupano le università e terrorizzano gli studenti ebrei, senza menzionare – nemmeno in questo caso – le vittime israeliane e i rapiti (neppure i piccoli Bibas meritano la sua attenzione), affermando che “la solidarietà degli studenti ha contribuito a educare il mondo sull’occupazione israeliana e sull’apartheid, smascherando l’ipocrisia – e le tendenze repressive – di alcune delle università più prestigiose del mondo con investimenti in aziende che mettono il profitto prima delle persone e del pianeta”. Boicottando gli accademici e la cultura d’Israele e rifiutando di insegnare che ci sono due o più lati in ogni storia, il movimento Bds promuove una cultura che privilegia una visione ristretta rispetto all’apprendimento equilibrato. Quando non promuove apertamente la menzogna, com’è accaduto – tra gli esempi più vergognosi – quando l’account Twitter ufficiale del Comitato nazionale palestinese Bds ha postato un’immagine spacciandola come foto delle vittime palestinesi della guerra del 1948 (guerra scatenata, tra l’altro, dagli eserciti arabi otto ore dopo la nascita d’Israele). Si trattava in realtà di una foto scattata nell’aprile del 1945, nel lager nazista di Nordhausen. Non ci si deve pertanto stupire se proprio tre partiti neonazisti tedeschi (Die Rechte, Der Dritte Weg e NPD, fortunatamente con percentuali a ridosso dello 0 per cento) abbiano fatto e facciano propaganda a favore del Bds. Notiamo non senza qualche interesse che, da questa follia, si è dissociato persino il partito AfD, che i nostri commentatori politici definiscono di estrema destra. Il 17 maggio 2019, AfD ha infatti presentato al Bundestag tedesco un disegno di legge dal titolo “Condannare il movimento Bds - proteggere l’esistenza dello Stato d’Israele”.
I nostri giovani boicottatori in kefiah conoscono davvero i loro alleati? Sanno di ritrovarsi in compagnia di quelli che furono i seguaci e gli alleati di Hitler? Ritengono con cognizione di causa che questi siano i migliori compagni di strada per riuscire efficacemente a promuovere i diritti umani? E se anche accettassero di compiere un tratto di strada con i gruppi neonazisti (ovviamente minoritari, non lo mettiamo in dubbio), pensano sinceramente che l’autodeterminazione di un popolo, quello palestinese, debba avvenire a scapito di quella del popolo ebraico, scacciato dal fiume al mare? A meno di voler sostenere l’hitleriana soluzione finale, chi si preoccupa di diritti umani dovrebbe farlo sostenendo i diritti e la dignità di tutte le persone: solo allora potremo sperare in un futuro di pace. Invece, convinti che il movimento Bds sia allineato con le cause della sinistra occidentale e che Israele sia davvero uno stato bianco (la storia dei falasha non la conosce nessuno) che pratica l’apartheid e il razzismo, molti occidentali sono caduti nella trappola e hanno finito col credere, trasformando tutto in una farsa, che i già citati partiti neonazisti stiano dalla parte del bene comune, nonostante i loro slogan non lascino spazio a dubbi. Ma chi mai andrà a studiare le posizioni politiche di tre partiti neonazisti tedeschi che, pur essendo riusciti a ottenere risultati sostanziali a livello regionale e municipale nell’Est della Germania, non sono riusciti a entrare in Europa né a queste né alle scorse elezioni? In fondo uno dei nostri problemi sta nel nostro provincialismo, semplicemente non ci interessa. Eppure si dovrebbe sempre studiare, per rispetto della storia. Infatti secondo un rapporto dell’intelligence bavarese, a partire dal 2019 questi partiti raccomandavano il boicottaggio d’Israele affermando, sui propri manifesti elettorali: “Israele è la nostra disgrazia”. Una frase, questa, che ai più potrebbe apparire una innocente critica allo Stato d’Israele, se non fosse che evoca lo slogan dello storico antisemita tedesco del XIX secolo, Heinrich von Treitschke: “Gli ebrei sono la nostra disgrazia”. E addirittura già dieci anni prima, Jürgen Rieger, un negazionista della Shoah allora vicepresidente dell’Npd, sollecitava i tedeschi a boicottare Israele. Da ciò si può ben comprendere come il movimento Bds rappresenti una minaccia non soltanto per Israele, ma anche per le nostre democrazie. E non perché stia causando danni finanziari alle ditte sottoposte a ipotetico boicottaggio, ma perché sta modificando le opinioni della prossima generazione di leader in America e in Europa: quelli che ora studiano nelle università e non sanno più riconoscere il pericolo reale derivante dai totalitarismi che stanno offuscando le loro menti.
Invece tutto sembra soltanto un gioco da bambini. Quando leggo le liste dei prodotti da boicottare, è come essere al cinema per l’ennesimo cine-panettone all’italiana. Tanto lo sappiamo tutti che quei prodotti non li boicotterà mai nessuno: ve li immaginate i nostri boicottatori di professione astenersi dal consumare una Coca Cola ghiacciata in estate? O una Fanta, una Sprite, un Tropical: certo, sarebbe meglio bere acqua, più salutare e politically correct. Ma non dovranno acquistare neppure Evian, Volvic, San Pellegrino o Perrier, d’altra parte perché spendere soldi quando si può risparmiare e contestualmente boicottare Israele? Tuttavia anche “l’acqua del sindaco” potrebbe essere una scelta non percorribile: la premier Meloni lo scorso anno, incontrando Netanyahu e parlando dei problemi legati alle nostre infrastrutture idriche, ha affermato: “Israele ha fatto un lavoro straordinario e questo credo che sia uno dei tanti settori su cui la nostra cooperazione può aumentare”. Direi che, per essere totalmente certi di non favorire Israele in alcun modo, non resterà che riempire le borracce alle sorgenti dei fiumi, sempre sperando che l’Italia non sigli un accordo per lo sviluppo della tecnologia israeliana di inseminazione delle nuvole allo scopo di ottenere pioggia nelle regioni più siccitose. Fare la spesa diventa un problema politico e i Bds nostrani faticheranno a evitare tutti i prodotti che hanno inserito nelle loro liste dell’odio. Se infatti potranno trovare un’alternativa alle crocchette Purina o Friskies per il cucciolone di casa, rinunciare ai Baci Perugina o agli After Eight da regalare alla nonna sarà più difficile, non fosse altro che per il fatto che la Perugina applica buone pratiche di sostenibilità durante le fasi di lavorazione del suo cioccolato. Potrebbe sembrare semplice boicottare Disneyland, Mc Donald’s e Burger King, ma quando nella lista compaiono Nokia, Intel e l’industria farmaceutica Teva la situazione diventa davvero problematica. Per non parlare del fatto che – dopo aver riempito la borraccia con l’acqua di sorgente – si dovrà resistere alla tentazione di farla diventare frizzante con le bollicine create da SodaStream. Questo è l’esempio più lampante dell’ipocrisia.
SodaStream, come sappiamo, è quell’azienda israeliana che fabbrica dispositivi per produrre acqua frizzante in casa. Avrebbe dovuto trattarsi di un’azienda leader per quanto riguarda la tolleranza e la conoscenza reciproca tra i lavoratori: una sorta di start up della pace. La fabbrica aveva infatti aperto i battenti in Cisgiordania assumendo principalmente operai palestinesi con stipendi analoghi a quelli pagati in Israele (circa quattro volte superiori alla media di quelli nei Territori) e fornendo ai lavoratori e alle loro famiglie allargate anche l’assicurazione medica, un benefit che ben pochi datori di lavoro in Cisgiordania garantiscono ai dipendenti. Forte della convinzione che soltanto grazie alla reciproca conoscenza si sarebbe potuto abbattere la diffidenza, SodaStream aveva assunto anche lavoratori israeliani, sia arabi che ebrei, mettendoli nella condizione di lavorare tutti insieme, imparare a vicenda, magari sviluppare rispetto reciproco e persino amicizie. Nel 2014, con oltre 500 dipendenti, SodaStream era diventata uno dei maggiori datori di lavoro privati in Cisgiordania. Tuttavia lo spietato boicottaggio internazionale da parte dei sostenitori della campagna Bds costrinse l’azienda a chiudere i battenti in Cisgiordania per riaprirli in Israele, nel deserto del Negev: qui vennero assunti 1.400 arabi beduini. L’unico evidente risultato ottenuto dai Bds è stato quello di privare i palestinesi di buoni posti di lavoro e di impedire uno slancio economico nei Territori.
Se dunque al movimento Bds non interessa il benessere dei palestinesi, è evidente che il suo unico scopo sia la possibilità di arrecare danno a Israele. Così, quando risulta difficile arrecare danno a Israele si finisce con l’auto-boicottaggio, proprio come sta avvenendo in alcune nostre università dove tutto viene ammantato dal timore di “dual use” e la pace si trasforma in mantra pericoloso. In alcuni casi si è giunti a inquadrare la questione del boicottaggio delle ricerche accademiche in termini talmente ampi da ripudiare in toto tutto ciò che ha un sapore militare e bellico, anche se totalmente nazionale. Bello, vero? Una forma di pacifismo talmente drastico, come mi suggeriva simpaticamente un collega, da diventare autofagia, ovvero quel processo biologico in cui una cellula mangia se stessa, in assenza di altro da mangiare. Eppure, a sostegno di questo auto-boicottaggio si sventola l’articolo 11 della nostra Costituzione, affermando che l’Italia ripudia la guerra (motivo per cui si sarebbe tanto voluto boicottare la ricerca israeliana perché, se pure fosse una ricerca volta a limitare il problema della fame nel mondo, gli israeliani non riescono a evitare di rispondere in armi ai massacri che i palestinesi compiono ai danni della popolazione israeliana). E a nulla serve ricordare a questi auto-boicottatori che l’art. 11 fa riferimento alla guerra come a strumento di offesa e non come a strumento di difesa. Diversamente perché l’art. 78 direbbe che sono le Camere a deliberare lo stato di guerra? E perché l’art. 52 afferma che la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino? Così, non riuscendo a boicottare Israele, gli stessi boicottatori giocano la carta della pace mondiale. Chi non lo desidererebbe? Però non si capisce di quale pace stiano parlando. I sottomessi all’Isis di Raqqa o Mosul vivevano in pace? Forse qualcuno penserà di sì: bastava farsi crescere la barba e indossare un niqab. Ma siamo sicuri fosse davvero sufficiente? Quello di cui siamo certi è che i datteri di Gerico o i pompelmi di Jaffa erano l’ultimo dei loro problemi. E che dire degli ucraini? Immagino che molti penseranno che gli ucraini, in nome della pace universale, avrebbero dovuto sottomettersi a Putin fin dall’inizio. Forse dovremo farlo anche noi, in un prossimo futuro. E’ questo ciò che il movimento Bds e pacifista ci propone? Un futuro da sottomessi al dittatore di turno? E se i nostri figli non volessero sottomettersi, dovranno combattere a mani nude?
Credo sia giunta l’ora di abbandonare il nostro provincialismo e di risvegliarci finalmente europei. L’Ue dovrebbe impegnarsi politicamente per fermare questo scempio, per lo meno all’interno dei suoi confini. Il desiderio di annientare Israele ci sta facendo sprofondare in un baratro di debolezza di cui qualcuno non tarderà ad approfittare. Perché se è vero che i parlamenti di diversi paesi hanno già approvato risoluzioni, per lo più simboliche, di condanna del Bds (Austria, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, anche se quest’ultimo non è più nell’Ue), è altrettanto vero che senza un impegno forte e comune difficilmente si otterranno risultati. Ormai è giunto il momento – anche vedendo quanto sta accadendo nelle nostre università – di esprimere una posizione vincolante, per certo più incisiva delle semplici parole espresse dall’allora vicepresidente della Commissione Mogherini nel 2016: “L’Ue respinge i tentativi della campagna Bds di isolare Israele e si oppone a qualsiasi boicottaggio di Israele”, cui è seguito il nulla di fatto. Non è più soltanto una questione di datteri alla Coop, ne va della nostra stessa esistenza.