Il ritratto

Il diavolo veste Bardella

Mauro Zanon

Il "facho" è diventato "sympa". E se fosse lui, a 28 anni, il prossimo primo ministro francese? L'ascesa del presidente del Rassemblement national, nuova star del sovranismo d'oltralpe, che ha sdoganato con furbizia, imposture e social network il partito frontista di Le Pen

Jordan Bardella aveva 23 anni e il volto di un ragazzino appena uscito dal liceo nel 2019, quando Marine Le Pen, la madrina del sovranismo francese, decise a sorpresa di catapultarlo sul palcoscenico delle elezioni europee come capolista del Rassemblement national (Rn). Sarà una meteora come l’ex braccio destro Florian Philippot, disse con perfidia la vecchia guardia, quella che non ha mai digerito la “dédiabolisation”, l’operazione di restyling e normalizzazione del partito frontista lanciata da Marine nel 2011. “Sono pronto”, rispose Bardella con l’insolenza tipica di quell’età, “come diceva Napoleone, si cresce rapidamente sui campi di battaglia”. Cinque anni dopo, il figlio di Drancy, banlieue multietnica della Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi, è in un’altra dimensione, presidente di Rn, il primo a non avere il cognome Le Pen, trionfatore delle ultime elezioni europee e, stando ai sondaggi che promettono al suo partito la maggioranza assoluta al secondo turno delle legislative, in procinto di diventare il prossimo premier di Francia.
 


Lunedì scorso, ai Salons Hoche di Parigi, durante la presentazione del programma di Rn per il paese, Bardella parlava come se fosse già a Matignon, cercando di dimenticare le vertigini di un posto così alto e impegnativo per un 28enne che non ha mai avuto un ruolo di governo – sarebbe il primo esponente della destra sovranista – ma che in caso di nomina straccerebbe il record registrato a gennaio da Gabriel Attal, 35 anni, diventando il più giovane capo dell’esecutivo della storia della Quinta Repubblica. “Sarò il primo ministro di tutti i francesi”, ha dichiarato davanti al suo nuovo alleato, Éric Ciotti, presidente ribelle dei Républicains, il partito gollista, ma soprattutto al suo Pigmalione, Marine Le Pen, colei che lo ha forgiato, cresciuto, coccolato e nel 2022 ne ha favorito l’ascesa al vertice di Rn, dando il colpo di grazia agli ultimi aficionados del fu Front national. Quella del 7 luglio, giorno del secondo turno delle legislative, è l’occasione di una vita per Jordan Bardella: essere il primo ad abbattere la famosa “diga repubblicana”, a lacerare il cosiddetto “cordone sanitario” che fino ad ora ha protetto la République dalle incursioni estremiste.
 

Anche per questo, il pupillo di Marine ha deciso di ingentilire certe proposte radicali, o addirittura di abbandonarle, per dimostrare agli elettori che la “dédiabolisation” è completa, che il Front national di Jean-Marie Le Pen è un passato sepolto, e la vera minaccia, oggi, è l’altra estremità dello scacchiere politico, la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il partito della gauche radicale che guida il Nuovo fronte popolare, la coalizione delle sinistre alle legislative.
 

In politica internazionale, anzitutto, la virata di Rn a trazione bardelliana è stata netta rispetto alle posizioni storiche frontiste. La Russia di Vladimir Putin? “Una minaccia multidimensionale sia per la Francia che per l’Europa (…) che contrasta gli interessi francesi nelle nostre zone di influenza storiche in Africa, nel Mar Nero, ma anche nei nostri territori d’Oltremare, schierandosi apertamente dalla parte delle Comore” (nel quadro della crisi migratoria che colpisce Mayotte, ndr). L’Ucraina? “Sono favorevole a portare avanti il sostegno logistico e in termine di materiale di difesa all’Ucraina”, anche se ci sono delle “linee rosse molto chiare”, ossia “l’invio di truppe sul suolo ucraino” e l’invio di “missili di lunga gittata o di materiale militare” che potrebbero “colpire direttamente le città russe”. Riconoscere la Palestina? “Significherebbe riconoscere il terrorismo e accordare una legittimità politica a un’organizzazione che prevede nella sua carta la distruzione dello Stato di Israele”. L’abbandono del commando integrato della Nato promesso nel 2022 da Marine Le Pen in caso di vittoria alle presidenziali? Escluso anche quello, perché “non è possibile in tempo di guerra”.
 

Il programma di Rn, rispetto alla campagna per le europee, è stato edulcorato anche in campo economico, per provare a contenere i timori dei vertici del capitalismo transalpino e internazionale. L’abrogazione della riforma previdenziale di Macron sarà limitata solo alle cosiddette “carriere lunghe”, non a tutte le categorie come inizialmente previsto, e ad ogni modo, secondo le parole di Bardella, sarà rinviata “a un secondo momento”: insomma, non è più una priorità. L’altra retromarcia è sulla riduzione dell’Iva su tutti i beni di prima necessità, idea che aveva suscitato parecchie perplessità – eufemismo – tra gli economisti. “Mentre lo spread, la differenza dei tassi di interesse con la Germania, si è allargato nelle ultime due settimane, il presidente di Rn ha cercato di dimostrare agli investitori e alla comunità imprenditoriale che non hanno nulla da temere dal suo arrivo al potere. È un modo per cercare di emulare Giorgia Meloni in Italia, uno scenario di cui molti imprenditori francesi parlano da qualche settimana”, ha spiegato Les Echos, il principale quotidiano economico francese. Ma Bardella, durante la conferenza stampa di lunedì scorso, ha preferito non entrare troppo nei dettagli del finanziamento delle misure Rn, avanzando poche cifre, senza dissipare i dubbi sulla credibilità del programma frontista. Per Patrick Martin, patron del Medef, la Confindustria francese, le proposte economiche elencate dal leader sovranista sono pericolose per la tenuta dei conti dello stato e l’intero sistema finanziario. “Il nostro ruolo è quello di ricordare che le proposte economiche devono essere trattate con serietà e razionalità nel dibattito politico. Lo ripeto ancora una volta: il programma di Rn è pericoloso per l’economia francese, la crescita e l’occupazione, e il programma del Nuovo fronte popolare è altrettanto pericoloso, se non di più”, ha dichiarato al Figaro Martin, prima di aggiungere: “Ciò che propone Rn ci taglierebbe fuori dall’Unione europea in un momento in cui l’influenza della Francia nel Parlamento europeo sta diminuendo. Abbiamo già perso l’influenza politica e rischiamo di perdere quella economica e giuridica se seguiamo questa strada, in un momento in cui l’Europa deve tenere conto degli imperativi economici”.
 

Non sono bastate le colazioni informali organizzate negli ultimi mesi con alcuni pezzi da novanta del Cac 40 e nemmeno i suoi interventi pro business a Hec, la Bocconi francese, e al salone della Confederazione delle Pmi francesi, per tranquillizzare l’alta finanza. L’assenza di una visione programmatica sulla tech e le nuove sfide dell’intelligenza artificiale in un paese, la Francia, che con Macron è diventata una start-up nation estremamente attrattiva per i talenti di tutto il mondo, ha aggiunto inquietudine. “Rn non parla quasi mai di innovazione”, ha dichiarato all’Express Ben Marrel, ceo e co-fondatore di Breega, fondo di venture capital francese. Certo, Marine Le Pen e Jordan Bardella non parlano più di Frexit, alla stregua dell’altro leader della destra identitaria d’oltralpe, Éric Zemmour, presidente di Reconquête, ma Rn rimane nella sua essenza ostile all’Europa, a una Francia con le frontiere troppo aperte. La proposta avanzata lunedì scorso di vietare alle persone con la doppia nazionalità di occupare posti pubblici “strategici” ha ricordato a tutti che dietro il maquillage, la faccia da genero ideale e il sorriso smagliante da pubblicità di dentifrici della nuova star del sovranismo d’oltralpe c’è pur sempre una forte fibra nazionalista, les français d’abord, i francesi prima di tutto, e un’endemica allergia a tutto ciò che è allogeno. “L’‘origine’ è una vecchia ossessione del Front national, un modo di essere sospettosi per principio verso lo straniero o colui che viene dall’esterno”, ha spiegato al Monde la semiologa Cécile Alduy, professoressa a Stanford, prima di aggiungere: “Rn, come Fn sotto Jean-Marie Le Pen, difende una filosofia naturalistica di cittadinanza, definita dalla discendenza. È nella carne, nella natura biologica che si trasmette la cittadinanza francese”. La misura auspicata da Bardella, tuttavia, sarebbe impossibile da applicare se non cambiando la Costituzione. “Prendere di mira le persone che hanno un’altra nazionalità è totalmente incostituzionale”, ha sottolineato all’Obs Serge Slama, professore di Diritto pubblico all’Università di Grenoble-Alpes, perché violerebbe il principio di uguaglianza e aprirebbe alla possibilità di “ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo o al Consiglio di stato”.
 

Per schermirsi dalle accuse di xenofobia, Bardella ripete nei suoi meeting di avere origini straniere, di essere un prodotto dell’assimilazione, di essere un francese di sangue misto, come lo era Nicolas Sarkozy (sangue ungherese). Solo che il presidente di Rn ricorda solo un lato delle sue origini, quelle italiane (la madre, Luisa Bertelli, insegnante di scuola materna, è nata a Nichelino, ex sobborgo operaio della Fiat, famoso per la Palazzina di caccia di Stupinigi, dove soggiornò Napoleone nel 1805, e tre dei suoi nonni sono piemontesi). Delle altre, quelle algerine, non parla mai: è un tema tabù sia nella famiglia Bardella, sia all’interno del partito, come raccontato da un’inchiesta di Jeune Afrique. Il bisnonno di Bardella, Mohand Séghir Mada, era un immigrato algerino originario della Cabilia, emigrato in Francia in cerca di fortuna negli anni Trenta. Oltralpe trovò lavoro in una tintoria della regione di Lione e la sua futura moglie, una francese, Denis Annette Jaeck, da cui ebbe quattro figli, tra cui Réjane, la nonna di Jordan Bardella. Secondo alcune indiscrezioni della stampa parigina, potrebbe evocare nel suo libro le “altre origini”, la biografia che sta scrivendo in gran segreto e la cui uscita è prevista per la prossima rentrée. Ma è come se per Jordan – nome che è “segno di appartenenza alle classi popolari” tipico degli anni Novanta, il decennio delle serie televisive importate dagli Stati Uniti, quando sua madre lo cresceva da sola, “con un salario minimo, in un quartiere popolare del 93”, ossia il dipartimento più povero di Francia – ci fosse una buona immigrazione da valorizzare e mettere in luce, quella italiana, latina, cattolica, e un’immigrazione di serie B, quella maghrebina, di cultura e religione musulmana, da tenere in sordina per non perdere un certo elettorato storico del Fronte nazionale.
 

 Una discriminazione che martedì scorso è stata messa in luce dall’attuale premier Gabriel Attal durante un dibattito su BfmTv proprio con Bardella. “Tamara c’est oui, Rachida c’est non?”, ha attaccato Attal, evocando una chiacchierata con “due ragazze, una franco-marocchina e l’altra franco-armena”, che “mi hanno detto di dirle che si sono sentite insultate e umiliate”. Qualche anno fa, a Draguignan, cittadina del dipartimento del Var (sud della Francia) con un’alta percentuale di immigrati italiani, il presidente di Rn pronunciò queste parole: “Effettivamente, Bardella è di origini italiane. Ma i miei genitori provengono da una generazione che si è integrata, assimilata, ha lavorato sodo e ha amato la Francia. Non mi lasciavano stare fuori tutta la notte. Non c’è nessuna ragione, nessuna, per cui le generazioni future non debbano fare lo stesso sforzo”.  In caso di ascesa a Matignon, Bardella vorrebbe “convincere” Macron a indire un referendum sull’immigrazione, per rendere intoccabile la Costituzione su temi come “la restrizione del ricongiungimento familiare e la sospensione della regolarizzazione degli immigrati clandestini da parte dei prefetti”. Ma vorrebbe anche abolire lo ius soli e introdurre il reato di soggiorno irregolare. “L’immigrazione non è più una questione che divide i francesi, ma che li unisce”, ha affermato durante la conferenza stampa ai Salons Hoche, forte dei sondaggi secondo cui la crisi migratoria è una delle principali preoccupazioni dei suoi compatrioti.
 

Il “big bang d’autorità”, così lo ha definito, avverrà anche tra i banchi di scuola, con il divieto dei telefonini, l’obbligo di dare del “voi” agli insegnanti e la sperimentazione dell’uniforme fin dalle elementari. Il leader sovranista ha parlato inoltre di un intervento a livello disciplinare. “Sosterrò sistematicamente gli insegnanti”, con l’introduzione di “sanzioni minime nei consigli di disciplina” e la creazione di “centri specializzati per ospitare gli alunni che disturbano o sono molesti”. In questo senso, è pronto a ripescare una misura del neoalleato gollista Éric Ciotti: “Riprenderò la legge Ciotti del 2010, abrogata da François Hollande, che prevede la sospensione degli assegni familiari e delle borse di studio in caso di gravi e ripetuti disordini nelle scuole”.
 

Rispetto ad Attal (École Alsacienne e Sciences Po) e a Macron (Sciences Po e Ena), Bardella non si è formato nelle grandes écoles, e non ha nemmeno una laurea. Dopo la maturità ottenuta al liceo privato Jean-Baptiste-de-La-Salle di Saint-Denis, fallisce il concorso per entrare a Sciences Po per una risposta imprecisa a una domanda sulla guerra d’Algeria, prima di iscriversi a geografia alla Sorbona: triennale che abbandona a metà percorso, per dedicarsi a tempo pieno alla politica. Entra nell’Uni, il sindacato storico della destra francese, con già in tasca la tessera del Front national, dove ha messo piede per la prima volta a 17 anni. Nel 2014, è segretario dipartimentale frontista nella Seine-Saint-Denis, l’anno dopo è responsabile “banlieues” per il partito, ed è in quel periodo che si avvicina a Frédéric Chatillon, fra i leader del Gud (Groupe union défense), gruppuscolo di estrema destra appena dissolto dal governo francese, consigliere di Marine Le Pen e oggi proprietario del ristorante Le Carré Français a Roma con ottime entrature nella galassia Casa Pound e destra sociale italiana (Bardella, ha avuto anche una storia con una delle figlie di Chatillon, Kerridwen). Nel 2016, assieme all’ex super consigliere di Marine, Florian Philippot, Bardella lancia il collettivo Banlieues patriotes per sedurre le periferie abbandonate dalla sinistra. L’anno dopo, finite le presidenziali, viene nominato portavoce del Front national, nel 2018 è già presidente della giovanile, il Front national de la jeunesse, divenuto in seguito Génération nation, e nel 2019 eurodeputato (a Strasburgo, tuttavia, si è fatto notare più per il suo assenteismo che per le sue proposte: lo hanno soprannominato “l’invisible”). Da quel momento, la scalata che lo ha portato nel 2022, a soli 26 anni, a diventare presidente di Rn è stata fulminea. E secondo le malelingue, il merito è anche della sua relazione con Nolwenn Olivier, figlia di Marie-Caroline Le Pen, sorella maggiore di Marine. È Nolwenn che gli ha aperto le porte del clan Le Pen, è lei che lo ha fatto entrare nell’intimità del castello di Montretout, il manoir di Saint-Cloud, la residenza storica della dinastia lepenista (“l’enfer”, l’inferno, come lo ha definito in un’inchiesta il giornalista Olivier Beaumont). È lei, secondo l’Express, all’origine della rivoluzione estetica e di comunicazione di Marine (giacche color pastello, gattini e sorrisoni sui canali social), ma anche della strategia TikTok di Jordan Bardella, che gli ha permesso di conquistare l’elettorato più giovane.
 

“Bardella potrebbe essere il primo premier TikTok della Quinta Repubblica”, dice al Foglio Jean-Yves Camus, politologo esperto di destre e direttore dell’Observatoire des radicalités politiques alla Fondation Jean-Jaurès. “Anche il presidente Macron ha usato molte volte i social network per rendere più accattivante il suo messaggio tra le fasce più giovani, oltre che i podcast (l’ultimo la scorsa settimana, rispondendo per un’ora e quarantacinque minuti alle domande di Matthieu Stefani, creatore del podcast Génération do it yoursef, ndr). Ma è certamente un fenomeno più diffuso nella destra populista. Lo abbiamo visto in Brasile, durante la campagna elettorale di Bolsonaro, e in Argentina con Milei: entrambi hanno puntato molto su TikTok ottenendo un consenso elettorale rilevante tra i giovani”, spiega Camus. Non è un caso che durante la campagna elettorale per le europee il leader di Rn si sia conquistato il soprannome di “TikTok King” e il suo account, oggi, abbia più di 1,4 milioni di followers. “È la vittoria dell’influencer Bardella”, ha commentato il magazine Challenges analizzando la strategia del presidente di Rn, quella di rendere il sovranismo più cool e accattivante.
 

Sul social cinese, Bardella si mette in scena mentre abbraccia Marine Le Pen subito dopo il risultato delle elezioni europee, poi mentre vanta le qualità nutritive di alcune barrette di cereali che mangia per mantenere alto il livello energia durante i dibattiti. In un altro video, si toglie la giaccia, dice che “fa molto caldo”, l’immagine diventa sempre più rosea, e in sottofondo si sente una canzone di Britney Spears. “Je t’aime Jordan”, scrive una follower, “Mi fai diventare pazza”, aggiunge un’altra. Jordan come un attore hollywoodiano, Jordan come una star del K-Pop. “Ha creato delle groupie e tutto ciò è molto preoccupante per la politica e per la democrazia in generale”, dice al Foglio Jean-Yves Camus, prima di aggiungere: “Su TikTok, Bardella non trasmette dei messaggi politici, filma la sua vita: balla, dice che ha fame, si mostra in tutte le situazioni immaginabili, come se non fosse un esponente politico. Quelli che guardano i video si identificano in lui e nelle situazioni in cui si trova. La loro opinione si basa sui suoi comportamenti, sulle sue scelte, sui luoghi in cui vive, su ciò che mangia, più che sul suo programma politico”. Ma secondo Camus non è una “coquille vide”, una conchiglia vuota, come dicono i suoi detrattori. “Rn ha un programma e questo programma è problematico. Bardella, semplicemente, lo vende ai francesi svuotandolo della sua sostanza per conquistare le categorie più giovani, affinché questi ultimi diano il loro voto all’uomo piuttosto che alle idee che difende. È un esponente politico che ha delle convinzioni ed è consapevole che l’operazione di ‘dédiabolisation’ passa attraverso i social network”, spiega al Foglio Camus. “Bardella si presenta come un giovane uomo normale che non farebbe male a una mosca. Fa le cose delle persone che hanno la sua età, ha i comportamenti e il linguaggio del corpo di quelli della sua età, usa i social come i suoi coetanei. Tutto ciò fa dimenticare l’insieme delle misure che fanno parte della sua visione del mondo. Le persone che lo guardano su TikTok non necessariamente lo ascoltano quando tiene una conferenza stampa o quando partecipa a dei dibattiti televisivi”, sottolinea il politologo francese.
 

Secondo quanto evidenziato da un sondaggio Odoxa per Public Sénat, ai francesi che hanno sempre votato al centro, oggi, fa più paura il Nuovo fronte popolare, l’alleanza delle sinistre (Partito socialista, Verdi, Partito comunista e France insoumise), del Rassemblement national e dei suoi alleati. È il 47 per cento degli intervistati a essere pronto ad alzare la diga contro l’avanzata di Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, il 41 a voler bloccare Rn. Tra gli elettori di Renaissance, il partito di Macron, il 71 per cento voterà per il candidato Rn in caso di duello al secondo turno delle legislative contro un candidato del Nuovo fronte popolare. “La vera colpa è di Mélenchon e dei suoi colleghi della France insoumise. Il loro programma è demagogico, senza cifre. A questo si aggiungono una volontà di perturbare la vita parlamentare fin dall’inizio della legislatura e una comunitarizzazione del dibattito fin dal 7 ottobre, senza dimenticare le frasi estremamente scioccanti sull’antisemitismo, soprattutto da parte di Mélenchon. Pochi giorni dopo aver detto che l’antisemitismo, in Francia, è ‘residuale’, una ragazzina di dodici anni è stata stuprata perché ebrea a Courbevoie”, dice al Foglio Camus. “A indignare l’elettorato è anche il modo in cui Mélenchon gestisce il suo partito, le purghe contro i deputati uscenti Rachel Garrido e Alexis Corbière, nonostante il loro radicamento locale, il loro lavoro parlamentare. L’autoritarismo che Mélenchon esercita all’interno del suo partito fa paura agli elettori”.
 

Pascal Humeau, giornalista e ex spin doctor di Bardella, è stato assoldato nel 2018 da Marine Le Pen per formare dal punto di vista comunicativo e culturale l’allora portavoce del Front national. “Era molto rigido, molto verticale”, ha raccontato Humeau a Complément d’enquête, programma d’inchiesta di France 2 andato in onda a gennaio. “La sua disinvoltura, il suo atteggiamento rilassato e il suo entusiasmo, che oggi si possono percepire, hanno richiesto molto lavoro, ci sono voluti mesi e mesi”, ha aggiunto Humeau, secondo il quale Bardella è stato formato da zero anche a livello politico. Quando era adolescente, del resto, il ragazzo di Drancy voleva diventare poliziotto (ha fatto anche uno stage in un commissariato di Saint-Denis) e il suo unico vero interesse erano i videogame, Call of Duty in particolare (aveva un canale YouTube dedicato al celebre sparatutto). “Le uniche cose di cui parlavamo erano i videogiochi o quello che avevamo fatto durante il giorno. Non parlavamo di politica o di religione, eravamo ancora troppo giovani per farlo. È assurdo perché era il mio migliore amico e, alla fine, non so molto di lui”, ha raccontato al Monde François Le Pourhiet, oggi cuoco in un hôtel particulier sugli Champs-Elysées. Chantal Chatelain, professoressa di inglese nel liceo privato Jean-Baptiste-de-La-Salle di Saint-Denis dove ha studiato Bardella non si capacita oggi del suo percorso nel partito frontista: “Quando esci da una struttura che ti ha insegnato il rispetto per gli altri, come puoi tenere un discorso xenofobo? Mi sono cadute le braccia”. Ha dovuto lottare con la madre, già divorziata dal padre, Olivier Bardella, piccolo imprenditore nel settore dei distributori automatici a Montmorency, per essere autorizzato a iscriversi al Rassemblement national. Jordan Bardella, un “facho” che bisognava rendere “sympa”, come ha detto Pascal Humeau. A Rn, ci sono riusciti.

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