la missione del ministro

Adolfo Urso vola a Pechino

Giulia Pompili

Il ministro precede Meloni in Cina, ma va a cercare investimenti nei settori più controversi

Stasera, dopo il consiglio dei ministri, il titolare del dicastero delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, salirà su un aereo per Pechino, dove inizierà la prima missione di un rappresentante del governo Meloni nella Repubblica popolare cinese dall’uscita dal grande progetto strategico della Via della seta. Urso anticipa Meloni a Pechino – la presidente del Consiglio è attesa in Cina entro luglio – e secondo quanto risulta al Foglio c’è stato un certo coordinamento strategico, fra Palazzo Chigi e l’ex Mise, nell’organizzare le due visite in rapida successione: Urso va a discutere con la leadership cinese di investimenti e industria, in modo che Meloni, poi, si possa concentrare sugli aspetti più politici della relazione fra Roma e Pechino, e al limite di commercio – le cui deleghe sono in capo al ministero degli Esteri guidato da Antonio Tajani, che probabilmente la accompagnerà nella visita. 

  
La tattica di separare piani e settori per affrontare la Cina è stata più volte messa in discussione a livello internazionale, perché per Xi Jinping tutto è politica, e tutti i piani si sovrappongono. Perfino il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, in visita per la prima volta a Pechino una settimana fa, non è stato ricevuto con i tappeti rossi dalla leadership cinese dopo aver detto che la “sicurezza europea” è strettamente connessa alla guerra contro l’Ucraina da parte della Russia, “che la Cina sostiene”. La Germania era considerata il paese europeo con più legami commerciali ed economici con la Cina, quello che non avrebbe mai retto all’impatto del derisking: e invece, all’inizio di maggio, l’America ha scalzato la Cina come principale partner commerciale di Berlino che, sebbene con difficoltà, sta lavorando alla sicurezza della sua politica economica. Secondo la stampa cinese, durante i colloqui a Pechino Habeck avrebbe parlato soprattutto dei dazi europei sulle importazioni di auto elettriche cinesi, che entrano in vigore domani: Habeck aveva il ruolo di facilitatore, per spiegare le ragioni europee e la lunga indagine antidumping che ha portato alla decisione di aumentare le tariffe sulle auto cinesi. 

  
Nella nota con cui Urso ha ufficializzato la sua missione a Pechino, che durerà fino a domani, si legge che la visita “avviene a poche ore dall’applicazione provvisoria dei dazi europei alle importazioni di auto elettriche cinesi”, ma che si concentrerà  su “una serie di dossier riguardanti le partnership industriali negli ambiti della tecnologia green e della mobilità elettrica, degli accordi riguardanti la proprietà intellettuale e sulla cooperazione tra le pmi”. Italiane, s’intende. 

  
Perché Urso lavora da tempo a questo: tentare di portare in Italia i colossi dell’auto cinese, e infatti dice che nella sua due giorni avrà diversi incontri con “importanti player industriali” – quelli già passati dal suo ministero come Gu Yifeng, presidente del China City Industrial Group, gruppo che opera nel settore dell’auto elettrica e che fa parte della grande famiglia del colosso statale cinese CRRC, che secondo il dipartimento della Difesa americano è “una azienda dei militari cinesi” e contro il quale l’Ue ha aperto un’indagine antidumping nel febbraio scorso. Ma tra gli appuntamenti di Urso c’è pure Yin Tongyue, capo di Chery, con cui il ministero di Urso aveva iniziato dei colloqui per aprire un impianto di produzione in Italia – ma con materiali italiani – e alla fine Chery due mesi fa ha scelto la Spagna. Poi Zhang Chuanwei, a capo della Ming Yang Smart Energy Group che produce parchi eolici (anche quelli sotto osservazione dell’Ue per pratiche commerciali sleali) e infine Tan Xuguang, il presidente di Weichai Power, che è anche presidente di Ferretti Group: a metà aprile Palazzo Chigi ha fatto attivare un’istruttoria per eventualmente usare il Golden power anche in relazione alla Ferretti Security Division, che fa le imbarcazioni anche per le Forze armate italiane. Nessun colloquio con i vertici della Byd, con cui Urso aveva “attivato dei canali di comunicazione” a febbraio, ma poi il gigante dell’auto elettrica cinese aveva preso accordi per aprire un impianto nell’Ungheria di Orbán. 

 
Da tempo, tra gli osservatori di questioni con la Cina, si osserva un cambiamento dell’atteggiamento del ministro Urso nei confronti della Repubblica popolare: da presidente del Copasir, solo due anni fa, aveva definito la Cina un “avversario strategico”, nel presentare la relazione del 2022 diceva in Parlamento che “Russia e Cina aspirano alla supremazia tecnologica ed economica” e che i “nostri asset strategici” andavano messi in sicurezza, e rivendicava l’estensione dei poteri del Golden power e le raccomandazioni per escludere  i colossi cinesi dal 5G italiano.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.