Verso la composizione del Parlamento Ue
I Verdi verso il sostegno esterno a Ursula: meglio la tenuta dell'Ue che l'ideologia del Green deal
Il Ppe fissa i paletti e gli ecologisti devono scegliere: battersi per mantenere il Green deal? Oppure dare il proprio sostegno a von der Leyen senza ottenere reali concessioni? Sembra che il gruppo opterà per la seconda opzione: la minaccia della destra sovranista è considerata più grave di quella climatica
Bruxelles. Nonostante la loro disponibilità, i Verdi non entreranno nella coalizione europeista che sosterrà Ursula von der Leyen nella prossima legislatura, ma potrebbero garantire un appoggio esterno indispensabile per permettere alla presidente della Commissione di essere confermata dal Parlamento europeo per un secondo mandato. Il Partito popolare europeo ha fissato una linea rossa sull’ingresso del gruppo ecologista nella coalizione con i Socialisti&Democratici e i liberali di Renew. La priorità del Ppe è frenare il Green deal, fare marcia indietro su alcune misure, evitare nuove iniziative ambientaliste e puntare sulla competitività economica. I Verdi si trovano così davanti a una scelta. Battersi per mantenere l’ambizione del Green deal? Oppure dare il proprio sostegno a von der Leyen senza ottenere reali concessioni? Giorno dopo giorno, dichiarazione dopo dichiarazione, i Verdi sembrano sempre più orientati alla seconda ipotesi. La minaccia della destra sovranista e dell’estrema destra è considerata più grave di quella climatica.
Il Parlamento europeo voterà per il secondo mandato di Ursula von der Leyen il 18 luglio. Sulla carta la maggioranza formata da Ppe, S&D e Renew ha 400 eletti sui 720 nella plenaria di Strasburgo. Per passare ne servono 361. Il margine attuale di circa 40 deputati non è sufficiente a mettersi al riparo dai potenziali franchi tiratori, che alcuni stimano tra i 50 e i 70. Dalla scorsa settimana, quando è stata formalmente proposta dai capi di stato e di governo per un secondo mandato alla testa della Commissione, von der Leyen è entrata in una nuova campagna elettorale. Le vere trattative avvengono dietro le quinte, spesso con i capi delegazione dei partiti nazionali o direttamente con i singoli deputati. Poi ci sono gli incontri istituzionali. La presidente della Commissione ieri ha partecipato a un incontro con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e i presidenti di tutti i gruppi politici. Dopo le elezioni la leadership dei socialisti ha abbassato i toni, passando dallo scontro politico alla logica della coalizione. “La musica sembra buona”, ha detto la presidente dei socialisti, Iratxe García Pérez: “Ho avuto la sensazione che la presidente abbia voluto mettere sul tavolo questioni importanti per le forze politiche pro europee”. Anche la leadership liberale non intende creare problemi a von der Leyen. Ha già individuato nel francese Thierry Breton il punto di riferimento dentro la futura Commissione. Ma in un voto segreto nessuno può garantire con assoluta certezza cosa faranno i deputati semplici. Cinque anni fa von der Leyen perse quasi un centinaio di eletti tra Ppe, S&D e Renew, passando per appena nove voti grazie all’appoggio del partito polacco PiS e del M5s. A prescindere da cosa faranno i 23 deputati europei di Fratelli d’Italia – l’astensione di Giorgia Meloni al Consiglio europeo ha allarmato la squadra di von der Leyen – gran parte dei voti di riserva può venire dai Verdi.
Von der Leyen ha incontrato il gruppo dei Verdi al completo lunedì. I suoi due copresidenti ne sono usciti con un messaggio positivo. “Molto costruttivo”, ha detto Bas Eickhout. “Costruttivo” gli ha fatto eco Terry Reintke. Entrambi stanno mettendo sempre di più l’accento sulla necessità di sostenere l’industria del green tech. “Per proteggere il Green deal e rafforzare la competitività dell’Europa, per proteggere la nostra democrazia e i diritti umani, dobbiamo lavorare insieme e costruire una maggioranza stabile e democratica nel Parlamento europeo. L’Europa è più forte unita. Siamo pronti”, ha aggiunto Reintke, confermando l’offerta di entrare nella maggioranza. Il problema per von der Leyen e per i Verdi è che il Ppe non è pronto ad accogliere gli ecologisti. Nei due incontri sulle nomine che ci sono stati il 17 e il 24 tra i negoziatori delle tre famiglie europeiste – Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, Olaf Scholz e Pedro Sánchez per i socialisti, Emmanuel Macron e Mark Rutte per i liberali – sono stati definiti i contorni della coalizione, tenendo conto delle linee rosse di ciascuno. Il Ppe ha indicato che la sua linea rossa sono proprio i Verdi. Alcune delegazioni nazionali – dalla Cdu-Csu a Forza Italia – sono pronte a votare contro von der Leyen, se von der Leyen dovesse fare concessioni in pubblico ai Verdi, ancor di più in caso di allargamento della maggioranza. A quel punto la sua riconferma per un secondo mandato sarebbe compromessa. “Possiamo lavorare con i Verdi, ma non nel quadro di una coalizione”, spiega al Foglio una fonte a conoscenza delle trattative.
Anche socialisti e liberali hanno la loro linea rossa. Oltre al cordone sanitario contro il gruppo di estrema destra – che si chiami Identità e democrazia o si trasformi nei “Patrioti” di Viktor Orbán – hanno posto come condizione al Ppe l’esclusione dei Conservatori e riformisti europei di Giorgia Meloni. Come con i Verdi, una cooperazione ad hoc con il presidente del Consiglio italiano è possibile fuori dai contorni della coalizione. Von der Leyen deve trattare con Meloni “nella sua qualità di capo di governo del terzo paese dell’Ue, non come capo del partito Ecr”, dice la fonte. Per von der Leyen è un esercizio di equilibrismo estremamente delicato. Il risultato è ancora incerto.
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