Election Day nel Regno Unito

L'occasione storica di Keir Starmer, nel Regno Unito dei sospiri

I conservatori hanno sfoderato l'arma migliore che hanno, l'ex premier Boris Johnson, che si è fatto coinvolgere perché i Tory temono di essere cancellati nel prossimo Parlamento

Paola Peduzzi

Ci sarà una supermaggioranza del Labour? I numeri, i confronti e la mappa degli spostamenti dei leader laburisti dicono di sì, ma bisogna chiarirsi sui suoi confini. L'analisi di un insider e il volto abbacchiato di chi ha fatto porta a porta

La campagna elettorale britannica è finita con il botto, Boris Johnson si è infine concesso al pubblico conservatore, giusto per conquistare i titoli e l’attenzione dell’ultimo minuto, quello delle decisioni. L’ex premier si è presentato a sorpresa a un comizio londinese a due giorni dal voto – che è oggi, 4 luglio – e ha ripetuto il manuale del conservatore disperato, ma lo ha fatto meglio, perché come lui, nel cuore blu di un Regno che si appresta a colorarsi di rosso, non c’è nessuno.  “Ci avesse pensato prima”, dice con un sospiro un trentenne abbacchiato che ha fatto un po’ di canvassing – la splendida pratica britannica di andare a suonare i campanelli, di mantenere vivo il contatto diretto, seppur saltuario, tra politici e cittadini. Johnson, l’ex premier che ha consegnato nel 2019 una solida maggioranza ai Tory e che è stato defenestrato nel 2022 in uno dei tanti episodi di cannibalismo che hanno scandito la storia recente del partito, poteva pensarci prima e non l’ha fatto, perché detesta il premier attuale, Rishi Sunak, che lo ha tradito, perché metterci la faccia, in una campagna nata così male e con questo svantaggio, non sembrava utile, perché si dedica (che sia benedetto) all’Ucraina e al suo memoir in arrivo a settembre,  cioè a un “dopo” che sembra ben più promettente dell’oggi.  Poi però è stato convinto, Johnson, dai tanti conservatori che stanno perdendo il posto e che temono davvero di essere mezzi cancellati dal Parlamento. Mai sentito parlare di ambizioni di carriera così lontane dalla politica come adesso, dice il distributore di volantini casa per casa, e racconta di progetti di vita totalmente nuovi e pure un pochino fantasiosi. Lo spettro per i Tory è questo: la supermaggioranza del Labour ai Comuni,  una vittoria a valanga che “è incinta di orrori”, come ha detto Johnson – la catastrofe.

 

La campagna elettorale non ha cambiato di molto la dinamica che c’era prima dell’annuncio delle elezioni anticipatissime e il vantaggio del Labour di Keir Starmer è rimasto sostanzialmente invariato attorno ai venti punti percentuali,  quindi quando i Tory hanno smesso di ripetere l’iniziale assurdità “possiamo vincere”, è stata posta la domanda più corretta: quanto grande sarà la vittoria del Labour? Chi è stato a fare canvassing risponde: molto, e lo dice anche chi è andato nelle aree a nord dell’Inghilterra, dove c’è il cosiddetto “wall”, una cintura di circoscrizioni storicamente laburiste ma che sono diventate via via più instabili, hanno votato in parte per la Brexit, si sono spostate a destra nel 2019 – il wall è diventato blu: questo è il più grande successo di Boris Johnson – e ora potrebbero tornare rosse.

 

Queste zone sono un po’ l’ossessione dei sondaggisti e poiché ci siamo abituati a scarnificare l’elettorato fino a trovare la manciata di elettori che può cambiare tutto, ecco che c’è il numero magico anche per il Regno Unito: secondo uno studio del Times, 130 mila voti in 100 circoscrizioni possono fare la differenza tra una maggioranza di 200 seggi per il Labour e, addirittura, un Parlamento bloccato, cioè senza una maggioranza chiara.  Per capirci: nel 2019, quando i Tory vinsero con il 43,6 per cento dei voti e inflissero una sconfitta storica al Labour guidato da Jeremy Corbyn, ottennero 365 seggi  su 650, con una maggioranza di 80 seggi rispetto al Labour. Secondo il Financial Times, ci sono 120 circoscrizioni in cui il margine di vittoria è inferiore al 5 per cento, di queste 102 riguardano candidati conservatori e questo vuol dire che, a seconda di come vanno, i Tory possono avere 146 seggi ai Comuni, o soltanto 44.

 

Ci sono altre proiezioni simili, tra la sopravvivenza e la cancellazione, l’ultimo sondaggio di YouGov dice che una maggioranza così non si vedeva dal 1832, ed è la ragione per cui da una decina di giorni i Tory dicono ai loro elettori: andate a votare e votate per noi, non pensate a voti utili o altri calcoli dei periodi di festa, perché altrimenti ci sarà una dittatura socialista. Siôn Simon, che oggi è un consulente di FlintGlobal ma è stato parlamentare laburista e poi europarlamentare fino a quando il Regno Unito ha avuto rappresentanti a Bruxelles, è tra quelli che non si aspettano una supermaggioranza, o meglio, non la maggioranza di 200 e rotti seggi di cui parlano, terrorizzati, soprattutto i Tory: “I sondaggi non sono mai cambiati da molto tempo  – dice  – e questa è una cosa abbastanza unica: prima del governo disastroso di Liz Truss, quei 45 giorni del 2022 che gli inglesi non dimenticano più, il Labour aveva un vantaggio medio del 10 per cento. Dopo Truss, il vantaggio è raddoppiato e non si è più modificato. Ma nei sondaggi c’è anche una grande quota di indecisi, i ‘don’t knows’, e credo che tra questi ci siano molti conservatori che sono delusi e arrabbiati ma che sono sensibili allo spettro della supermaggioranza. Gli elettori conservatori sono molto più sticky dei laburisti, alla fine votano, pure se arrabbiati, il partito cui si sentono di appartenere”. Simon fa una stima, dice che la maggioranza potrebbe essere di 120 seggi, “che sarebbe un risultato pazzesco”, ma che ovviamente è più bassa di quel che si favoleggia con speranza o con spavento a seconda di chi parla. “C’è un paradosso – dice Simon – che riguarda proprio questa maggioranza: il Labour sta investendo tantissimo per vincere più seggi possibili, se si guardano gli spostamenti nel paese dei leader laburisti si vede chiaramente che vanno in circoscrizioni che due anni fa erano considerate inconquistabili e che invece ora possono essere vinte. Ma in realtà per governare come vuole fare il Labour, non serve che la maggioranza sia super, anzi: le aspettative non devono essere troppo alte, perché questo governo deve avere la possibilità di dire la verità e cioè che per aggiustare quel che è stato rotto in questi anni ci vorrà tempo e ci vorrà pazienza”.  

Starmer ripete: se volete il cambiamento, andate a votarlo. Fino all’ultimo minuto di campagna ha combattuto contro l’idea di vittoria già scritta  che mortifica la mobilitazione e contro l’idea della supermaggioranza che spinge gli elettori conservatori ad andare a votare anche se sono delusi. Le stelle si sono allineate, anche quelle più riottose, come il tabloid murdocchiano Sun che infine ha dato il suo endorsement al Labour, proprio come fece nel 1997  – e allora fu una bomba – per Tony Blair. Ma l’atmosfera non è paragonabile. Il Labour non ha annunciato feste elettorali, gioca cauto fino alla fine – “era così in vantaggio mesi fa senza fare nulla, perché avrebbe dovuto fare qualcosa adesso?”, dice ironico Simon, sintetizzando la cosiddetta strategia del “vaso Ming”, non tocco nulla così non rompo nulla  – si aspetta di ricolorare il wall di rosso grazie a un’inerzia che, diversamente da quel che accade nella dirimpettaia Francia per dire, spinge verso il buon senso, la serietà, il moderatismo, la stabilità. Sembra niente e sembra noioso, ma qui, dopo anni di montagne russe, questo è il cambiamento.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi