Gennadi Rakitin, il poeta del Cremlino

Micol Flammini

I regimi si somigliano e un gruppo di attivisti  ha dato a Putin un bardo prodotto dall'IA, che dedicava al leader russo e alla sua guerra versi hitleriani. Politici, deputati, propagandisti e cittadini sono impazziti per lui. Un esperimento riuscito

Il 23 febbraio del 2024, il sedicente poeta Gennadi Rakitin scriveva sulla sua pagina di VKontakte, il gemello russo di Facebook, dei versi banali e poco raffinati: “Come un giardiniere nel suo giardino // raccogli i frutti del duro lavoro // la gente esulta, le bandiere sono innalzate // il momento sta arrivando nel silenzio”. Gennadi Rakitin aveva intitolato la poesia “Leader” e l’aveva dedicata al capo del Cremlino Vladimir Putin, destinatario di altri versi, dediche e altrettanti post sulla bacheca dello sconosciuto Gennadi corredati di foto. Del poeta si sapeva ben poco, era apparso dal nulla, si presentava come un uomo scapigliato nella sua foto in bianco e nero in cui appariva in penombra con alle spalle la campagna russa. Di se stesso raccontava  soltanto  che aveva frequentato l’Università statale di Mosca, la facoltà di Filologia, non si dava arie da gran letterato. Per essere uno sconosciuto ogni giorno Rakitin riceveva però l’attenzione di politici, deputati, propagandisti e cittadini comuni ugualmente sensibili alla causa putiniana. Rakitin era comparso su VKontakte nell’estate del 2023 e un po’ alla volta aveva iniziato a riempire con parsimonia la sua bacheca con poesie patriottiche, dedicate alla guerra,  a Putin, ai soldati al fronte, alla patria, ai mercenari della Wagner.

I versi di Rakitin piacevano molto, venivano presentati nei concorsi, letti, ripubblicati. Per un anno, lo sconosciuto poeta con l’immagine in bianco e nero è stato il bardo della guerra di Vladimir Putin. Bastava però esaminare con attenzione proprio quell’immagine che raffigurava un uomo sulla cinquantina con una dacia sullo sfondo per accorgersi che la sua barba sembrava mangiarsi il collo e che le rughe erano talmente simili a dei graffi che non poteva trattarsi di una foto. Il poeta infatti non esiste, la sua immagine è stata creata dall’intelligenza artificiale e il suo profilo su VKontakte è stato aperto da un gruppo di russi contrari alla guerra, coraggiosi e spiritosi al punto di voler dare al putinismo il suo cantore. La direttrice del maggiore organo di propaganda, Margarita Simonyan, si era lamentata della mancanza di una poesia all’altezza della guerra, ribattezzata poeZija, rigorosamente scritto con la Z, un simbolo dell’alfabeto latino che in russo non esiste, ma è comparso sui primi carri armati diretti in Ucraina ed è diventato il segno dell’invasione, indelebilmente rimasto addosso a una Russia mostrificata. Gli attivisti contro la guerra hanno creato la poeZija con un esperimento arguto. Le poesie di regime, patriottiche si assomigliano un po’ tutte, sono anche in grado di rimanere indenni per secoli e i creatori del poeta Rakitin ne sono consapevoli. Così hanno preso alcuni versi di poeti nazisti, li hanno tradotti in russo, adattati leggermente alla realtà della guerra contro l’Ucraina e ne sono usciti dei versi che hanno inorgoglito la sfera del putinismo. La poesia “Leader” dedicata a Putin era in realtà la traduzione di un poema dedicato  ad Adolf Hitler e intitolato “Führer”. Una poesia di Rakitin dedicata alla Wagner e ai suoi uomini “senza volto” era l’adattamento di un componimento per l’esercito nazista. Un regime vale l’altro, ma alcuni finiscono per assomigliarsi un po’ di più e  il poeta-Z Rakitin aveva fatto esaltare il mondo del potere russo associandolo al nazismo che con una scusa messa in piedi molto male Putin sostiene di voler combattere in Ucraina. 


Il finto bardo è stato anche scelto per concorsi di poesia, è arrivato in finale per la competizione chiamata “Poesie sui difensori della patria”, le riviste hanno pubblicato i suoi componimenti, alcuni suoi versi sono finiti nelle raccolte di poesie di guerra. 

 

 

L’esperimento è finito qualche giorno fa, quando Gennadi Rakitin, il propagandista in bianco e nero  che si è beffato del putinismo per oltre un anno, che era riuscito nell’impresa di mettere in bocca al regime russo le parole dei nazisti, che era stato osannato, citato, amato, elogiato, è uscito allo scoperto con quattro versi: “Gennadi ha deriso a lungo // i versi-Z disegnati sui muri // alla fine ha disegnato un cazzo // sulla guerra”.

Rakitin ha scritto in tutto diciotto poesie, i versi ricondivisi sulle riviste di regime sono ormai indelebili. L’esperimento è riuscito. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)