1 luglio 2024, Aleppo: manifestazione scatenata dalla violenza contro i siriani in Turchia (Foto Anas Alkharboutli/dpa via Getty Images) 

La rivolta doppia tra Siria e Turchia porta fino in Russia

Mariano Giustino

In Turchia esplode la tensione contro i rifugiati siriani. La crisi e il malcontento alimentano l'odio xenofobo. Le ribellioni nel nord della Siria contro l'esercito turco sembrano una risposta scontata. Ma chi regge le fila di questo gioco violento è a Mosca e a Teheran

Ankara. In Turchia, gli attacchi xenofobi contro i rifugiati siriani sono iniziati il primo luglio a Kayseri, nel centro dell’Anatolia a seguito di un gravissimo episodio di  abuso sessuale da parte di un rifugiato siriano su una bambina di sette anni. La caccia al siriano si è poi diffusa anche nelle province di Hatay, Adana, Sanliurfa, Bursa, Gaziantep e perfino nella megalopoli turca di Istanbul, con abitazioni, negozi e veicoli dei rifugiati siriani saccheggiati e dati alle fiamme. Diversi siriani sono stati accoltellati in strada. Le forze dell’ordine in assetto antiguerriglia hanno arrestato 447 persone che avevano partecipato al pogrom.  

  
La crescente insofferenza per l’aggravarsi della crisi economica e valutaria, la diffusione della criminalità e del degrado delle città, stanno alimentando un’ondata di xenofobia contro le comunità di immigrati nei piccoli e grandi centri della Turchia che ospitano oltre tre milioni e mezzo di rifugiati siriani e circa seicentomila tra afghani, pakistani e iraniani e decine di migliaia di persone provenienti da altri paesi del mondo islamico, dell’Asia centrale e dell’Africa. Gli abitanti di tre quartieri di Kayseri hanno messo la città a ferro e a fuoco in una caccia indiscriminata ai rifugiati. Si sono viste  scene da guerra civile con abitazioni e negozi di siriani saccheggiati e incendiati, auto distrutte e date alle fiamme al grido di “Qui c’è la Turchia, non la Siria. La Turchia è dei turchi” e “Gli arabi non sono esseri umani”. Alcuni manifestanti, facendo con la mano il gesto dei Lupi Grigi, formazione panturanica di estrema destra, hanno rivolto slogan anche contro il presidente turco gridando: “Erdogan dimettiti!”. Le ribellioni sono dilagate in tutti i luoghi critici dove la comunità siriana è molto numerosa. Kayseri ospita circa 80 mila rifugiati siriani ed è una roccaforte del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) che nelle ultime elezioni locali del 31 marzo scorso ha raccolto il 38,61 per cento di voti, mentre Erdogan ha ottenuto oltre il 63 per cento nelle presidenziali di maggio 2023.  Nel distretto di Seyhan ad Adana, un gruppo di manifestanti in motocicletta ha inscenato un carosello in alcuni quartieri della città sventolando bandiere turche al grido: “Non vogliamo siriani”.

 
Il portavoce del maggior partito di opposizione del Consiglio municipale metropolitano di Gaziantep, del Partito repubblicano del popolo, Hasan Sencan, ha condiviso su Instagram un video di un gruppo di manifestanti che marciavano scandendo slogan razzisti e ha invitato la popolazione a rimanere a casa. “Cara popolazione di Gaziantep, vi prego di richiamare i nostri figli a casa. Queste azioni potrebbero essere provocazioni organizzate. Giovani, tornate a casa!”, ha postato il portavoce del Chp  Sencan. I negozi di diverse città della Turchia hanno abbassato le serrande per motivi di sicurezza, soprattutto nei quartieri dove la presenza siriana è numerosa. I gruppi del nazionalismo estremo hanno eretto barricate nelle strade e hanno fatto esplodere fuochi d’artificio finché la polizia non ha disperso la folla.  


Contemporaneamente nel nord della Siria, nelle aree occupate dalla Turchia e dai suoi alleati (le milizie anti Assad), si è scatenata una rivolta contro la presenza dell’esercito turco. I rivoltosi hanno anche bruciato bandiere turche e hanno condotto assalti armati contro postazioni militari della Turchia che controlla quella regione. Apparentemente questi assalti della popolazione nel nord-ovest della Siria sembrano una risposta alle rivolte contro i rifugiati siriani nella Turchia centrale avvenute domenica e lunedì scorso, ma non è così: c’è ben altro.

  
La ragione principale della rabbia contro Ankara della popolazione del nord Siria è motivata dal mutamento dell’opinione del presidente turco riguardo ad Assad e al suo regime e dalle dichiarazioni che il presidente ha recentemente fatto in riferimento agli incontri avvenuti tra la sua famiglia e quella del dittatore di Damasco. In realtà tali incidenti sono il culmine di una lunga storia che descrive uno scenario politico e militare nel nord della Siria di grave precarietà e instabilità. Occorre dunque vedere chi nell’ombra regge le fila di questo gioco e gli attori sono vari: la Russia e l’Iran che non vogliono che la presenza di Ankara si strutturi ulteriormente nel nord della Siria dove il presidente Erdogan intende trasferire gran parte della popolazione siriana che ospita sul proprio territorio. Ad Afrin, come nell’area di al Bab e Jerablus, Ankara ha creato di fatto un’amministrazione turca costruendo le infrastrutture necessarie per il trasferimento di almeno un milione di rifugiati siriani di cui Damasco non vuole il ritorno perché quella popolazione è ideologicamente contraria al suo regime. Gli attacchi alle infrastrutture gestite dai turchi sono con tutta evidenza organizzati e mirati. La Siria settentrionale presenta a Erdogan ulteriori sfide, in particolare con la Russia post invasione dell’Ucraina, che potrebbe voler complicare le cose per la Turchia in Siria.

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