La scommessa che Khamenei ha già perso sulle elezioni in Iran

Cecilia Sala

“Che si tratti di fare le riforme economiche, di rafforzare la giustizia sociale, della corruzione e della repressione, di lavorare per avere una parità di diritti tra gli uomini e le donne oppure di ridurre l’isolamento internazionale dell’Iran, gli iraniani sono più uniti che mai contro lo status quo”. Parla Azimi

Ali Khamenei e l’establishment della Repubblica islamica avevano fatto un calcolo sulle elezioni di oggi: avevano ammesso alla corsa un candidato riformista debole (alle precedenti elezioni i candidati riformisti erano stati tutti banditi) e avevano immaginato che una piccola apertura per rendere il voto più competitivo avrebbe aiutato l’affluenza – che è considerata la misura della legittimità del sistema – senza pregiudicare le possibilità di vincere del loro candidato preferito. Alla fine l’affluenza al primo turno è stata la più bassa della storia della Repubblica islamica e il candidato considerato il preferito dall’establishment, il comandante pasdaran e speaker del Parlamento Mohammed Bagher Ghalibaf, ha perso. 

Ghalibaf è uscito dalla competizione al primo turno venerdì scorso invece il suo avversario riformista, il cardiochirurgo Masoud Pezeshkian, si è posizionato al primo posto con un milione di voti di distacco dal secondo, il falco islamista Saeed Jalili. Il regime ha perso la sua scommessa e anche le previsioni degli analisti sono state sconfessate dagli eventi, l’aspettativa generale era che un’affluenza ai minimi avrebbe avvantaggiato il candidato prediletto dal clero e dai pasdaran, perché il pezzo di paese che vuole vedere un cambiamento radicale non crede che andare a votare sia utile per ottenerlo. Il 60 per cento degli aventi diritto al voto venerdì scorso è rimasto a casa nonostante i tanti appelli alla partecipazione della Guida, ma anche l’elettorato più religioso o comunque fedele ai precetti della rivoluzione islamica, che è andato a votare, ha preferito il candidato che dice mestamente che sarebbe meglio dialogare un po’ con l’occidente piuttosto che perseverare con l’economia di resistenza e considerare le sanzioni una medaglia, e  persino – sia pure un po’ sommessamente – che la legge sul velo obbligatorio  andrebbe rivista. Oggi le urne sono aperte per il ballottaggio tra Pezeshkian e Jalili, e ieri il riformista era dato in vantaggio di tre punti. 

“Che si tratti di fare le riforme economiche, di rafforzare la giustizia sociale, della corruzione e della repressione, di lavorare per avere una parità di diritti tra gli uomini e le donne oppure di ridurre l’isolamento internazionale dell’Iran, gli iraniani sono più uniti che mai contro lo status quo”, ha scritto l’analista iraniano Saeed Azimi, che dice al Foglio: “Proprio oggi (ieri) la Guida suprema ha ammonito che la lettura secondo cui quelli che non hanno votato al primo turno sarebbero anti establishment è ‘completamente falsa’. Significa che sta mettendo le mani avanti per provare a giustificare la scarsa partecipazione, proprio perché l’affluenza alle urne è significativa per l’establishment”. Infatti sia al primo turno delle presidenziali organizzate in tutta fretta dopo la morte in un incidente con l’elicottero di Ebrahim Raisi, sia a marzo, quando si sono tenute le elezioni parlamentari, le autorità hanno deciso all’ultimo di posticipare la chiusura dei seggi in via straordinaria a mezzanotte per provare ad accrescere un po’ i numeri della partecipazione. La pratica non ha comunque evitato il record negativo dal 1979, l’anno  della rivoluzione islamica. 

Oggi il candidato riformista Pezeshkian spera che un po’ di quelli che si rifiutano di votare, perché significherebbe legittimare il sistema, facciano un’eccezione pur di scongiurare il governo del più falco e islamista tra i candidati ammessi, Jalili.

 

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