Emmanuel Macron - foto via Getty Images

Il ritorno del sistema Umps

Sono tornate la destra e la sinistra: una brutta notizia solo per Macron

Thibault Muzergues

Il risultato del primo turno in Francia non ha solo segnato la morte del macronismo come movimento politico, ma ha anche avviato la Francia nel suo periodo post populista: dopo l'Italia, anche il paese d'oltralpe dice addio alla divisione tra populisti ed élite iniziata nel 2010 e riabbraccia i vecchi schieramenti

Il primo turno delle elezioni legislative francesi ha dunque emesso il suo verdetto, e se non è vero che è definitivo – visto che ci sarà un secondo turno che si preannuncia incerto – è tuttavia ricco di conseguenze, su molti livelli.
 

Innanzitutto, il 30 giugno avrà segnato la morte del macronismo come movimento politico. Naturalmente alcuni rispondono che il presidente Emmanuel Macron è ancora in carica e che avrà un ruolo cruciale da svolgere nei suoi ultimi tre anni di mandato. Si potrebbe anche sostenere che il suo gruppo parlamentare, composto a priori da 60 a 90 deputati (cifra da confermare), potrebbe svolgere un ruolo chiave nella formazione di una coalizione, qualunque essa sia. Ma resta il fatto: la Macronie ha subìto una grave battuta d’arresto, che potrebbe essere fatale: in un emiciclo di 577 deputati, ciò che resta del gruppo parlamentare macronista difficilmente verrà ascoltato, tanto più data l'impopolarità del presidente. Del resto, il “partito” macronista non c’è: pur esistendo legalmente dal 2016, non è mai stato altro che il veicolo di conquista elettorale di un uomo e le uniche vittorie sono state le sue. Ciò significa che i candidati di questo partito non hanno registrato successi nelle elezioni locali e regionali, impedendo così a En Marche (oggi Renaissance) di radicarsi nel panorama politico francese. Senza una rappresentanza a livello locale, senza un gruppo parlamentare di maggioranza, senza la prospettiva della distribuzione di portafogli ministeriali (o di altre onorificenze) da parte del presidente è probabile che il partito di Macron sparisca con la stessa rapidità con cui è apparso – lasciando un vuoto che sarà rapidamente riempito.
 

Nel frattempo, i sopravvissuti eletti e gli ex ministri dovranno iniziare a cercare una nuova casa politica, nella prospettiva del rinnovamento annunciato nel 2027. Ciò che sta accadendo alla Macronie è ciò che è accaduto al Partito socialista e ai Républicains sette anni fa: un paradigma politico diverso da quello cui i deputati si erano abituati, un capovolgimento capace di annichilire la sua forza politica. Nel 2017, la divisione tradizionale tra destra e sinistra stava morendo e sia Macron sia Marine Le Pen avevano, a modo loro, criticato il sistema “Umps” (il vecchio nome dei Républicains) per sostituirlo con una divisione tra élite e populisti, che si riscontrava contemporaneamente anche altrove: negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Ungheria, Polonia e in Italia, dove la Lega di Matteo Salvini era alleata con il M5s.
 

L’Italia, che è stata pioniera nell’esplorazione populista, sta cambiando e sta sperimentando con Giorgia Meloni il post populismo, un superamento del populismo che ha come elemento centrale il ritorno dello spartiacque destra-sinistra. Centrale in questa transizione è stata la figura di Meloni, lei che si è sempre identificata con la destra e ha rifiutato la collaborazione con la sinistra (populista e non). Con la fine del macronismo, assistiamo allo stesso spettacolare ritorno della divisione destra-sinistra, definito dal confronto ormai quasi diretto tra il Nuovo Fronte Popolare – che a volte ha l’aspetto di un “Fronte repubblicano” quando il suo rappresentante proviene dal partito di Macron o dalla sinistra moderata di fronte al Rn, che ancora fatica a trovare alleati al di fuori dei propri ranghi. Questa dissoluzione  è stata un grande acceleratore della transizione francese verso il post populismo.
 

La sinistra francese ha capito prima degli altri questo cambio di paradigma all’indomani delle elezioni europee, e questo spiega il raggruppamento di tutte le sue sensibilità attorno a un fronte popolare certamente insufficiente per ottenere la maggioranza assoluta, ma abbastanza per imporsi come uno dei due poli dello spettro politico. Questo ovviamente non significa che la sinistra sia uniforme, così come anche la destra è plurale e, anche se fatica ancora a trovare la sua strada nella nuova situazione politica, Jordan Bardella cerca chiaramente di posizionare il suo partito come rappresentante di questa destra, da solo contro l’estrema sinistra. Si può immaginare che questo nuovo discorso non piaccia del tutto a Marine Le Pen, che ha sempre rifiutato di posizionarsi a destra, preferendo un duello più comodo contro l’Umps prima e contro Macron ora – sempre populisti contro élite. Lei forse non lo sa ancora, ma l’irruzione di Bardella ha reso obsoleto questo approccio in uno spettro politico che si definisce sempre più sull’asse sinistra-destra, e sempre meno su quello tra populisti ed élite. Sarebbe ardito pronosticare la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento al secondo turno, si può meditare sul ritorno del divario destra-sinistra, che a lungo termine potrebbe forse porre fine alla crisi populista che viviamo dal 2010.
 



Thibault Muzergues lavora all'International Republican Institute. È autore del libro "Post-populisme" (Editions de l’Observatoire, 2024)