Elezioni americane
I tre fronti del futuro di Biden: fondi, sondaggi, sostegno dei leader
Se Biden non riuscirà a frenare il crollo di fiducia, le pressioni per indurlo al ritiro potrebbero raggiungere un livello insostenibile per la Casa Bianca. Il tutto mentre Trump si gode i problemi dell’avversario e si appresta a celebrare una convention trionfale a Milwaukee
Il futuro della candidatura di Joe Biden è nelle mani di una sola persona, l’unica che può davvero decidere: Joe Biden. Il presidente sta provando a salvare l’ultima avventura politica della sua lunga carriera e ha pochissimi giorni per farlo. La notte scorsa gli americani sono tornati ad ascoltarlo in tv per la prima volta dal disastroso dibattito ad Atlanta contro Donald Trump. L’intervista alla Abc registrata in Wisconsin, dove Biden si è recato per far campagna elettorale, va a sommarsi a un’altra uscita pubblica domani in Pennsylvania e poi all’immagine internazionale che il presidente offrirà di sé la prossima settimana, quando ospiterà a Washington i leader dell’Alleanza atlantica per celebrare i 75 anni della Nato. Poi per il Partito democratico sarà il momento di tirare le somme: continuare a sostenerlo o cambiare candidato?
Molto dipende da cosa accadrà su tre fronti: la raccolta fondi, i sondaggi e il sostegno dei leader democratici. Se Biden non riuscirà a frenare il crollo di fiducia che emerge su tutti e tre i fronti, le pressioni per indurlo al ritiro potrebbero raggiungere un livello insostenibile per la Casa Bianca. Il tutto mentre Trump si gode i problemi dell’avversario e si appresta a celebrare una convention trionfale a Milwaukee (15-18 luglio), nettamente in testa nei sondaggi e con l’ulteriore vantaggio del rinvio a settembre della sentenza per il suo processo a New York.
Biden cerca di recuperare investendo altri 50 milioni di dollari in pubblicità e comunicazione e annunciando un intenso calendario di appuntamenti pubblici. Ma potrebbe essere troppo tardi. Ogni volta che compare in un evento, ciò che resta sui media e sui social sono solo i suoi scivoloni verbali: li ha sempre fatti, ma stanno aumentando e soprattutto adesso sono al centro dell’attenzione. Poche settimane fa nessuno avrebbe fatto caso a una frase che gli è uscita male l’altra sera, “sono la prima vicepresidente nera”, che ovviamente era un riferimento a Kamala Harris formulato in modo sbagliato.
Ogni gaffe aumenta il livello di allarme dei democratici, che sono alle prese con ipotesi sempre più complesse su come gestire un’eventuale rinuncia del presidente. Si parla di “open convention” con molti candidati o di miniprimarie da fare in corsa. La realtà sempre più evidente agli analisti politici è che, anche in caso di ritiro, il controllo della partita sarà nelle mani di Biden. Se davvero lasciasse, nessuno potrebbe toglierli il diritto di indicare al partito chi nominare e nessuna soluzione è più naturale o probabile di Kamala Harris. Al punto che comincia già a emergere un dibattito sul possibile vice di una eventuale candidata Harris. I due governatori più in vista, Gavin Newsom e Gretchen Whitmer, sono da escludere. Il primo perché è impensabile (e peraltro vietato dalla Costituzione) un ticket con due californiani, vista la pessima reputazione di cui gode la California nel resto del paese. La seconda perché è improbabile un ticket con due donne. E allora a prendere quota è Josh Shapiro, governatore moderato della Pennsylvania, che è anche uno degli stati più importanti da vincere a novembre.