L'incontro

Il tradimento di Orbán in visita a Mosca

Micol Flammini

Il premier ungherese vede Putin, si esercita a fare l'emissario di Trump e tiene all'oscuro del viaggio l'Unione europea e la Nato. Sei mesi pericolosissimi e una triangolazione da seguire con attenzione

Viktor Orbán è andato a Mosca, era stato uno degli ultimi leader europei a entrare al Cremlino prima che la Russia invadesse l’Ucraina, ed è stato il primo a tornarci, vestendo il suo viaggio dei panni di una missione di pace. La squadra del primo ministro ungherese ha cercato di tenere nascosta fino all’ultimo la notizia del  viaggio. La testata ungherese VSquare aveva annunciato per prima la visita, poi tre testate internazionali l’avevano confermata, ma fonti del governo ungherese avevano tentato di smentire, dicendo che il primo ministro sarebbe partito per l’Azerbaigian. Invece si è fermato per una tappa a Mosca, è entrato nelle stanze del Cremlino e mentre era seduto vicino al presidente russo, si è sentito dire: “Capisco che sei venuto non solo come nostro partner, ma anche come rappresentante della presidenza dell’Ue”.

Dal primo luglio l’Ungheria è a capo del semestre europeo e, con il suo viaggio, il primo ministro ha portato l’Unione a Mosca, dove l’Unione non aveva alcuna intenzione di andare. E’ successo anche di peggio: nessuno degli alleati di Budapest, europei o membri dell’Alleanza atlantica, sapeva delle intenzioni del premier ungherese. La visita è stata stabilita a Budapest, concordata con Mosca e forse a Washington qualcuno ne era al corrente dentro al Partito repubblicano. Mercoledì Orbán è stato a Kyiv, ha incontrato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e sapeva già che due giorni dopo sarebbe andato a stringere la mano di Vladimir Putin. Bruxelles non sapeva nulla, la Nato non sapeva nulla, Zelensky non sapeva nulla, Mosca sapeva tutto. Orbán non si era coordinato con i suoi alleati, ma con la Russia. In due anni e mezzo di guerra di Putin  contro l’Ucraina, l’ungherese  avrebbe potuto scegliere qualsiasi momento per fare una visita al Cremlino, invece ha scelto i mesi in cui la sua presenza pesa di più, quando non rappresenta soltanto il suo paese, ma anche l’Ue. I leader europei si sono sgolati su X per avere risposte, il premier polacco, Donald Tusk, gli ha chiesto: “Le voci sulla tua visita non possono essere vere, giusto?”. La premier estone e possibile prossima Alto rappresentante dell’Ue, Kaja Kallas, ha scritto: “A Mosca Viktor Orbán non rappresenta in alcun modo l’Ue. Sta sfruttando la presidenza dell’Ue per seminare confusione”. I capi di stato e di governo e le istituzioni europee hanno chiesto a Budapest di chiarire, di spiegare: non hanno ottenuto risposte, si sono trovati a seguire il volo del Dassault Falcon 7X dell’aeronautica militare ungherese con a bordo il primo ministro e alla fine lo hanno visto atterrare all’aeroporto di Vnukovo a Mosca, non sorrideva molto, ma ostentava audacia.

Giovedì il Cremlino aveva annunciato una conferenza stampa senza svelare con chi si sarebbe presentato Vladimir Putin davanti ai giornalisti, alimentando così le aspettative e unendosi al segreto con cui Orbán voleva accompagnare la sua visita  per aumentare l’effetto sorpresa. La sorpresa è stata uno schiaffo all’Ue, in cui qualcuno si era blandamente illuso, dopo il viaggio a Kyiv, che Orbán avesse intenzione di prendere sul serio il semestre europeo.  


La visita ha fatto emergere i collegamenti nell’ombra del premier ungherese, la sua affidabilità è messa in dubbio, la crisi con Orbán è più profonda dei veti o dei capricci messi in scena finora dentro alle istituzioni europee o all’Alleanza atlantica. Mentre teneva l’Ue e la Nato all’oscuro di tutto, parlava con il Cremlino e fonti ben informate hanno raccontato alla stampa ungherese di contatti costanti tra Budapest e i repubblicani americani contrari alla solidarietà con l’Ucraina, gli stessi che al Congresso hanno bloccato per mesi i fondi necessari a Kyiv per difendersi, dando così un vantaggio all’esercito russo. Orbán ha chiamato il suo viaggio a Mosca “missione di pace” ed è andato a rappresentare tutti coloro che vogliono scendere a patti con Vladimir Putin, che non ha voglia neppure  del cessate il fuoco che il premier ungherese aveva proposto prima a Kyiv poi a Mosca. 


La prossima settimana ci sarà il vertice della Nato a Washington, è un evento importante anche per il significato simbolico dell’Alleanza arrivata ai suoi settantacinque anni con una guerra lungo il  confine orientale. Secondo il giornalista ungherese Szabolcs Panyi nei giorni del summit è previsto un incontro degli  uomini di Orbán, consulenti di politica estera e analisti, presso il think tank trumpiano Heritage Institute, mentre il primo ministro ungherese potrebbe invitare a Budapest Donald Trump per gli incontri della Comunità politica europea e un vertice informale che si terranno a novembre. Orbán lavora per un progetto che non è quello dell’Ue, è quello di Trump e quello di Putin e sfrutta la sua presidenza di turno per orbanizzare Bruxelles, ha sei mesi per riuscirci, prima che il suo lavoro venga ripulito da chi lo seguirà: la Polonia guidata da Donald Tusk. Ma i danni di sei mesi rimangono, l’Ue dovrà rispondere alla visita russa, altrimenti lascerà impunita ogni decisione di Orbán, ogni annuncio, ogni viaggio, ogni stretta di mano fatta in nome dell’Ue. 

Ieri dalla città russa di Omsk, in Siberia,  è arrivata la notizia del ricovero in ospedale dell’oppositore di Putin, Vladimir Kara-Murza, rinchiuso in una colonia penale da quando è tornato in Russia per protestare contro la guerra. Orbán ha parlato con Putin di guerra, di gas, e non risulta abbia speso una parola per l’oppositore in ospedale o per Alexei Navalny, che in una colonia penale c’è morto a febbraio. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)