Dopo il voto nel Regno Unito
L'altra sconfitta catastrofica degli indipendentisti in Scozia
Se i Tories hanno perso "solo" due terzi dei seggi che avevano ottenuto nel 2019, lo Scottish national party ha perso quattro quinti dei propri deputati a Westminster, passando dai 48 di cinque anni fa (sui 59 complessivi destinati alla Scozia) ai 9 dell’altro ieri (su 57 complessivi). A pesare nella débâcle la fine della leadership Sturgeon e le inchieste giudiziarie
Pare incredibile, ma c’è un partito che alle elezioni nel Regno Unito è riuscito a subire una sconfitta più catastrofica di quella contro cui si sono schiantati i conservatori. Se i Tories hanno perso “solo” due terzi dei seggi che avevano ottenuto nel 2019, lo Scottish national party ha perso quattro quinti dei propri deputati a Westminster, passando dai 48 di cinque anni fa (sui 59 complessivi destinati alla Scozia) ai 9 dell’altro ieri (su 57 complessivi: le circoscrizioni elettorali scozzesi sono state nel frattempo ridotte di numero).
Questo dato diventa ancora più annichilente se si pensa che nel 2015, nelle elezioni politiche che si tennero pochi mesi dopo la sconfitta del referendum di indipendenza dal Regno Unito da loro promosso, gli indipendentisti erano comunque riusciti a conquistare 56 dei 59 seggi in palio. E non trova palliativi se si guardano i numeri più da vicino: in quasi tutti i collegi in cui l’Snp ha perso ha accumulato un consistente distacco dal vincitore, mentre laddove ha vinto ha prevalso solo per un’incollatura sul secondo classificato. Gli indipendentisti patiscono soprattutto nelle zone urbane e periurbane di Glasgow ed Edimburgo, dove non eleggono nessuno, ma anche in molte zone rurali: reggono solo, o quasi, le roccaforti di Dundee e Aberdeen. Della débácle si avvantaggiano (moltissimo) i laburisti, che passano da 1 a 37 seggi, e (poco) i lib-dem, che da 4 deputati passano a 5, ma non i conservatori, che scendono da 6 a 5, né il Reform party che nell’europeista Scozia non tocca palla: l’unica buona performance del movimento populista di Nigel Farage, nella circoscrizione Aberdeenshire North and Moray East (in cui ha vinto l’Snp), è costata l’elezione al leader dei Tories scozzesi, Douglas Ross, che ha dovuto dimettersi dalla guida del partito.
L’Snp veniva da un biennio difficile, dopo che nel febbraio 2023 la sua popolarissima leader, Nicola Sturgeon, aveva annunciato le sue improvvise dimissioni per burn out, poche settimane prima che suo marito, Peter Murrell, venisse convocato dai magistrati per essere interrogato su una presunta appropriazione indebita di fondi del partito per la quale è stato poi inquisito tre mesi fa (anche Sturgeon è stata fermata, ma è stata rilasciata senza capi di accusa).
Poi, nel maggio scorso, Humza Yousaf, che l’aveva rimpiazzata alla guida del governo scozzese (e dell’Snp), posto di fronte alla prospettiva di ricevere una sfiducia dal Parlamento di Edimburgo, ha dovuto dimettersi da entrambe le cariche per essere sostituito da John Swinney. A quest’ultimo, che gestisce solo da poche settimane quel che resta dell’eredità dell’indipendentismo, non può essere imputato il disastro elettorale, ma il fatto che sia stato per nove anni il vice di Sturgeon non lo rende del tutto innocente per quanto riguarda lo sbriciolamento del consenso. Swinney in campagna elettorale ha sostenuto che, qualora l’Snp avesse vinto le elezioni, sarebbe stato prevedibile un nuovo referendum di indipendenza entro cinque anni: ma l’altro ieri gli elettori hanno riposto il libro sulla secessione nello scaffale della fantascienza. Ora, mentre l’Snp dovrà tentare di rimettere insieme i cocci in vista delle elezioni regionali del 2026, la palla passa al leader laburista scozzese Anas Sarwar che ieri ha dichiarato che il suo partito ha posto fine a “14 anni di caos conservatore” ma ha anche raccolto il malcontento degli elettori per i “17 anni fallimentari” in cui l’Snp ha mostrato “la sua incompetenza” alla guida del governo di Edimburgo. E ha aggiunto: “Da oggi raddoppiamo i nostri sforzi per poter realizzare un cambiamento anche nel 2026 e dare vita a un governo laburista scozzese”. Questo dipenderà da quanto gli ex elettori dell’Snp che stavolta hanno dato fiducia a Sarwar apprezzeranno il modo in cui quest’ultimo saprà far valere le ragioni della Scozia a Londra all’interno del suo stesso partito. Perché, messo per ora fra parentesi l’indipendentismo, la longevità del successo dei laburisti scozzesi può passare solo attraverso la loro capacità di farsi più regionalisti.
L'editoriale dell'elefantino