Progetti e intese
La Brexit resta, ma Starmer ha tutto l'interesse a riavvicinarsi a Bruxelles
L'uscita del Regno Unito dall'Ue non è stata oggetto di dibattito. Ma il nuovo primo ministro ora sa di avere bisogno dell'Europa per migliorare la situazione del suo paese. Il neo eletto premier ha già annunciato che cercherà relazioni più strette su sicurezza, commercio, ricerca e sviluppo, mobilità dei giovani e altro
Bruxelles. Il ritorno del Regno Unito nell’Unione europea non ci sarà almeno per una generazione. Contrariamente a quanto accaduto alle elezioni del 2017 e 2019, il referendum del 23 giugno 2016 non è stato oggetto di dibattito. Quando, prima delle elezioni di giovedì, il Financial Times ha chiesto a Keir Starmer se era immaginabile una marcia indietro sulla Brexit finché era in vita, la risposta del leader laburista è stata “no”. Una promessa diventa ancora più vincolante quando si diventa primo ministro. “Sono stato davvero chiaro sul non rientrare nell’Ue, nel mercato interno o nell’unione doganale o su un ritorno della libertà di movimento”, ha detto Starmer. Eppure la Brexit – in particolare il tipo di Brexit scelta dal partito Tory – è stata all’origine della sua vittoria e della disfatta storica dei conservatori. Dopo otto anni di caos politico ed economico autoinflitto, gli elettori britannici si sono semplicemente stancati. Perché quello che veniva denunciato dai Brexiter come “Project fear” – la campagna allarmistica sugli effetti dell’uscita dell’Ue sull’economia e la vita quotidiana – alla fine si è realizzato. Non come un terremoto improvviso e violento, ma come una goccia cinese che tortura tutta una nazione. Lungi dal riprendere il suo destino in mano, il Regno Unito è più povero, più isolato e più insicuro. Starmer è chiamato a riprendere il controllo dalla caotica gestione Tory della Brexit. L’Ue può aiutare e trarre il vantaggio da un riavvicinamento geostrategico con il Regno Unito.
Nessuna delle promesse dei Tory sulla Brexit – ritrovare la prosperità senza la burocrazia dell’Ue, avere un ruolo globale grazie agli accordi commerciali, fermare l’immigrazione dopo la chiusura delle frontiere – si è realizzata. L’inflazione è più alta che nell’Ue, la crescita è più bassa, il commercio si è ridotto, i migranti sui barchini o in aereo sono aumentati, il Servizio sanitario nazionale è sotto finanziato, gli agricoltori ricevono meno aiuti di quando erano sotto la Pac europea, le file negli aeroporti o a Calais si sono allungate, in Irlanda del nord il Sinn Fein è il primo partito. Molto di tutto questo sarebbe stato evitato se i conservatori avessero consentito a Theresa May di restare nel mercato unico o, almeno, nell’unione doganale. O se Boris Johnson non l’avesse deposta quando, per evitare la disgregazione del Regno Unito per la questione nordirlandese, May aveva firmato una versione più leggera della Brexit. La “hard Brexit” ha compromesso la credibilità dei Tory come partito di governo. A Starmer è bastato decorbynizzare il Labour per conquistare la seconda maggioranza più ampia di sempre, senza aumentare la percentuale di voti. Ora Starmer sa di avere bisogno dell’Ue per migliorare la situazione del suo paese. La Brexit non si tocca. Ma il premier ha già annunciato che cercherà relazioni più strette su sicurezza, commercio, ricerca e sviluppo, mobilità dei giovani, o ancora allineamento normativo sui controlli sanitari.
Sulla sicurezza Starmer avrà subito occasione di lanciare segnali in direzione degli europei. La prossima settimana sarà a Washington per il summit della Nato. Quella successiva, il 18 luglio, sarà lui ad accogliere i leader europei per il vertice della Comunità politica europea, il forum informale lanciato da Emmanuel Macron dopo l’invasione dell’Ucraina. “La minaccia posta dalla Russia al continente rende certamente necessario un riavvicinamento strategico tra Londra e l’Ue a 27”, spiega in un paper Sébastien Maillard dell’Istituto Jacques Delors. “Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca lo renderebbe imperativo. Le elezioni presidenziali americane promettono quindi di essere un fattore decisivo per accelerare l’intensificazione di una relazione euro-britannica basata tanto su valori e interessi condivisi quanto sulla semplice vicinanza geografica”.
Nei messaggi di congratulazioni a Starmer dei leader europei – da Emmanuel Macron a Donald Tusk, da Ursula von der Leyen a Charles Michel – la parola “sicurezza” è sempre presente. Dalla Commissione è arrivato un segnale di disponibilità su altri settori. “Siamo impegnati per un’agenda positiva con il Regno Unito”, ha detto il suo portavoce. “Il ritorno nell’Ue non ci sarà almeno per una generazione”, spiega al Foglio un alto funzionario europeo. L’ex presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha parlato di “un secolo”. Ma il percorso di riavvicinamento era già stato avviato da Rishi Sunak con intese settoriali, come l’ingresso nel programma di ricerca Horizon. Starmer ha tutto l’interesse a compiere altri passi verso la riunificazione della famiglia europea.