La Cina abbaia alle porte dell'America

Maurizio Stefanini

Così la Cina spia la tecnologia spaziale americana dalle basi radar dell’Avana

Dopo la Russia, anche la Cina si mette ad abbaiare ai confini degli Stati Uniti. Passate per Cuba dal 12 giugno, sono ora arrivate in Venezuela le navi da guerra di una flottiglia russa che comprende la fregata Ammiraglio Gorshkov, in servizio dal 2018 e considerata la più avanzata della marina di Putin, assieme alla petroliera Akademik Pashin, al sottomarino nucleare Kazan e a un rimorchiatore. “Non rappresentano una vera minaccia”, commentarono funzionari americani al momento dell'attracco al porto dell'Avana, ma era evidente il valore simbolico di risposta al reiterato appoggio di Washington all'Ucraina. Evidentemente, la portata del simbolo aumenta con l'uteriore attracco al porto di La Guaira, giusto mentre Maduro riprende il negoziato con gli Stati Uniti e parte anche una campagna elettorale presidenziale in cui è chiaro che lo stesso Maduro potrà essere confermato solo a colpi di brogli e manipolazioni, visti gli almeno 20 punti di vantaggio che tutti i sondaggi assicurano al candidato della opposizione Edmundo González Urrutia.

 

Insomma, si torna ai tempi della “crisi di Cuba”, ma si va anche oltre. Non solo appunto perchè gli avamposti di Mosca nel cortile di casa Usa non si limitano più al solo regime dell'Avana, ma ci sono anche quelli di Caracas, Managua e La Paz, più l'asse col Brasile nei Brics. Ma anche perchè stavolta assieme a Mosca, nei Brics e negli stessi paesi, c'è anche Pechino, che dell’Urss dagli anni 60 in poi era invece nemica. La presenza a Cuba delle navi di Putin è chiassosa ma simbolica. Xi Jinping invece lancia agli Stati Uniti una sfida ben più pesante, con una nuova base radar rilevata proprio vicino alla base militare americana di Guantánamo Bay. Il Center for Strategic and International Studies (Csis) lo definisce “un potente strumento per monitorare l’attività aerea e marittima delle Forze armate americane”. La base, in costruzione dal 2021 ma mai  segnalata pubblicamente prima d’ora, è a est della città di Santiago de Cuba, ed è stata individuata dal  Csis in un rapporto poi rilanciato dal Wall Street Journal. Il vice ministro degli Esteri cubano Carlos Fernández de Cossío l’ha chiamata “una campagna intimidatoria”: aveva definito una “balla” anche la “cosiddetta sindrome dell’Avana”, secondo lui “inventata per far deragliare le relazioni con gli Stati Uniti”, quando la stessa Cia aveva derubricato i malesseri come probabile frutto di fattori ambientali.

   

Se però la sindrome resta impalpabile, la base radar è piuttosto voluminosa: antenne che potrebbero essere in grado di tracciare segnali fino a 3.000-8.000 miglia nautiche di distanza. Apparati simili furono utilizzati massicciamente durante la Guerra fredda, ma da allora Russia e Stati Uniti li hanno quasi tutti disattivati a favore di tecnologie più avanzate. Pechino invece sta costruendo nuovi sistemi di questo tipo, anche nel Mar cinese meridionale. Il portavoce del dipartimento di stato Vedant Patel ha rifiutato di commentare il rapporto, ma ha ammesso martedì in un briefing che gli Stati Uniti stanno “monitorando da vicino” la presenza della Cina a Cuba. E l’anno scorso, funzionari dell’Amministrazione Biden hanno affermato che Pechino spia da anni da Cuba e vi ha aggiornato le sue capacità di raccolta di informazioni a partire dal 2019: accuse che sia Pechino che L’Avana hanno negato. Secondo le   immagini satellitari,  il più grande sito di intelligence di segnali attivi a Bejucal, sulle colline vicino all’Avana, ha subìto “importanti aggiornamenti” negli ultimi dieci anni, il che indica “una missione in evoluzione”. Questi sistemi sono proprio nel raggio d’azione per monitorare i lanci di razzi da Cape Canaveral e dal Kennedy Space Center della Nasa: Pechino sogna di eguagliare la tecnologia di lancio spaziale degli Stati Uniti, così la spia.

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