Kyiv al centro
L'esordio di Starmer al vertice della Nato, le debolezze percepite e quel che conta davvero: l'Ucraina
Si apre il vertice dell'Alleanza a Washington e il premier britannico arriva più solido di altri leader, a partire dall'ospite, il presidente Biden. Ma il gioco delle percezioni è esagerato, come dimostra il caso di Macron, che è in mezzo a un rimpasto e a contrattazioni parlamentari ma è limpido nella sua visione della guerra e del mondo. C'è molto lavoro da fare per la difesa dell'Ucraina ed è l'unico lavoro che conta
Appena dopo aver assunto l’incarico di ministro della Difesa britannico, John Healey è andato a Kyiv, nel fine settimana scorso, ha incontrato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, gli ha ribadito il sostegno granitico di Londra per la difesa del paese dall’assalto russo e gli ha assicurato che l’impegno preso dal governo Sunak, dismesso dopo il voto del 4 luglio, sugli aiuti militari per i prossimi anni sarà onorato.
La continuità tra conservatori e laburisti nella gestione della difesa ucraina non è mai stata messa in discussione nel Regno Unito: cambia tutto, ma non la determinazione a sostenere l’Ucraina fino alla vittoria contro Vladimir Putin, un equilibrio raro tra destra e sinistra in occidente. E una certezza per Keir Starmer, il premier britannico, che arriva a Washington al vertice della Nato con una grande legittimazione elettorale, assieme al suo ministro degli Esteri, David Lammy, un atlantista roccioso, con molti contatti nell’establishment di politica estera americano e che, incontrando Zelensky alle celebrazioni del 6 giugno del D-Day gli ha detto: si va avanti fino alla vittoria. Starmer non ha molta dimestichezza fuori dal Regno Unito, ma inaspettatamente arriva a Washington come il più solido dei leader dell’Alleanza.
Si tratta di percezioni, naturalmente. Il presidente americano, Joe Biden, vuole usare il palco del vertice per provare a districarsi dalle pressioni per un suo passo indietro come candidato alle presidenziali di novembre: è allo stesso tempo il luogo in cui Biden può dare il meglio di sé, perché la sua presidenza è connotata da una politica estera limpida in difesa dell’Ucraina e dell’intero occidente, ma anche il posto in cui la sua testardaggine nel restare candidato può essere più rischiosa, perché per il futuro della Nato e della gestione della difesa da Vladimir Putin una vittoria del suo rivale, Donald Trump, cambia davvero tutto. Poi c’è Emmanuel Macron, il presidente francese, che è percepito debole perché la situazione nel nuovo Parlamento di Parigi, alle prese con negoziati e ricerche di coalizione che non sono nella cultura politica della Francia, sembra ingovernabile e rende instabile il paese. Il fatto che alcuni oggi chiedessero a Macron di non partire per Washington per gestire la creazione di un nuovo governo rende bene l’idea di quanto possa essere ombelicale – e cieca: c’è una guerra in corso nel cuore dell’Europa – la politica nazionale. Ma Macron sarà presidente fino al 2027 e da mesi insiste sulla necessità dell’Unione europea di investire sulla difesa, sull’unità e sulla costanza nel sostegno dell’Ucraina. Questo per dire che le debolezze interne, vere o esagerate, dei vari leader contano fino a un certo punto quando si tratta di un vertice come quello della Nato.
L’Alleanza ha molto lavoro da fare, nonostante i contributi dati dagli alleati in termini del 2 per cento del loro pil siano molto aumentati (l’Italia ancora non ha raggiunto l’obiettivo). C’è da mettere la Nato al riparo dall’eventuale ritorno di Trump, c’è da ristrutturare la politica di difesa europea, e per quel che riguarda il solido Starmer c’è la volontà di aumentare al 2,5 per cento del pil i fondi per la Nato e di aumentare il budget per la difesa, ma nel Regno Unito mancano i fondi per questi investimenti. L’obiettivo comune resta quello di rafforzare l’Alleanza ed evitare boicottaggi interni (l’indiziato numero uno è il governo di Budapest), con più garanzie sostenibili possibili, contro tutte le fragilità.