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L'editoriale dell'elefantino

Perché Mélenchon è solo un bluff

Giuliano Ferrara

Il leader della France Insoumise conferma la regola: i trotzkisti perdono pure se vincono. II black bloc senza cappuccio ha più dissidenti interni che voti

I trotzkisti perdono anche quando vincono. La Francia nelle mani di Mélenchon è un titolo da dementi, da travaglisti. L’apparenza che inganna, tipico miraggio estremista, come si è visto a sorpresa per il suo dirimpettaio Bardella. Ha parlato per primo ieri sera e ha cercato di afferrare per la coda una vittoria per lui inesistente, facendo il bullo con Macron e Attal che lo hanno sovrastato in seggi all’Assemblea nazionale e come sempre citando scolasticamente un poeta d’occasione. Un tribuno bolso, duro nel respingere la calunnia sul suo antisemitismo, che però è “un fenomeno residuale” per lui, impegnato a sbandierare i colori della Palestina in segno di liberazione della terra irredenta dagli ebrei genocidi, “dal fiume al mare”. Mélenchon è una specie di black bloc senza cappuccio, uno spauracchio di mestiere, un omaccio autoritario che ha fatto eleggere da indipendenti o dissidenti quelli che lo hanno mandato a quel paese e hanno subìto la purga del trotzkista, una contraddizione in termini vista la storia della Rivoluzione sovietica e di Stalin, i Ruffin e gli Alexis Corbière, con i voti degli odiati liberali o neoliberali alleati ai resti del proletariato di banlieue, liberali naturalmente sfrenati, che affamano la Francia, smantellano i servizi, fanno gravare le tasse sui piccoli e le tolgono ai grandi, eccetera

 

Il precedente nobile, molto nobile, è Lionel Jospin, un socialista protestante a molti carati, che governò bene in coabitazione con Chirac, ma essendo trotzkista di tendenza Lambertista, così è in Francia, finì terzo alle presidenziali dietro Chirac e Jean-Marie Le Pen, dico Jean-Marie, non Marine. Mélenchon, quando ha tradito i socialisti francesi, ha inventato un brand di successo, Lfi, La France insoumise, i disobbedienti, per la gioia del Cretino Collettivo di sinistra, ha talento per il marketing più che per la politica, e qui si ferma. Ora ha praticamente tanti deputati quanti i socialisti traditi, molti meno della somma di socialisti comunisti e verdi, che risorgono in uno sforzo di serietà non demagogica e già dicono che non bisogna ostentare bambinismi e primitivismi come quelli di Jean-Luc, teorico di un Nouveau Front Populaire duro e puro, ci si deve comportare da adulti, segnale chiaro di Hollande, Glucksmann e perfino Marine Tondelier, verde centrista. Mélenchon vuole indicare il nome del primo ministro e attuare il programma ridicolo presentato agli elettori, non avrà il beneficio dell’una e dell’altra cosa. Cercherà di nuovo di trasformare il Parlamento in un bordello per i suoi manipoli, nei prossimi mesi e anni, nella speranza di ingannare il paese e di ingaggiare alla fine un duello presidenziale con Marine Le Pen o Jordan Bardella. Vaste programme, visto che anche nel suo partito sono sempre meno a sopportarlo, e il rischio sarebbe un ministro per la Pari opportunità come Adrien Quatennens, il suo pupillo beccato a picchiare la moglie e non ripresentato per il rotto della cuffia. A paragone di Mélenchon, Bertinotti è un genio della politica che neanche Machiavelli, per non dire di Fratoianni e Bonelli e Schlein e Conte. 

 

Tempo al tempo, il bluff sarà chiamato. Liberarsi di Mélenchon diventerà lo sport più praticato nella gauche francese, più ancora che dannare la Macronie, e sputtanare il ritorno agli investimenti e all’industria, le nuove leve del lavoro mai così numerose e attive nella start up nation. Poi Macron sta lì, eletto dal popolo, anche da quel testone di Mélenchon, un altro come Marine che apprezza Lavrov e Putin, ricambiato, e Jupiter ha due anni e mezzo per evitare un altro duello tra le estreme. Questo lo ha scommesso a sorpresa, con gesto mitterrandiano o gollista classico, e lo ha vinto contro i bolsi tribuni della plebe, jupiterianamente, ma il postino suona sempre due volte, e aver cancellato le sciocchezze su di sé non vuol dire che verranno dimenticate, a meno che non riesca a dare al suo paese un programma e un governo che tengono conto della verità di questi sette anni straordinari sotto il suo regno e anche della grande bugia sociologica sulla Francia d’en bas oppressa dagli ex Rothschild attraverso il presidente dei ricchi, altra scemenza madornale, alla quale i francesi hanno in parte deciso di credere, fino a gonfiare lo scontro melodrammatico tra le estreme che però quello scontro hanno perso, con Jordan e Jean-Luc.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.