Giorgia Meloni - foto Ansa

Il vertice

L'aumentino italiano delle spese per la Difesa serve forse a trattare con Salvini, non alla Nato

Oscar Giannino

Meloni è a Washington come maggior esponente di una destra europea ostile a Putin, mentre il leader della Lega continua a dire: "No armi italiane a Kyiv".  Serve una operazione-verità sullo stato delle Forze armate italiane, anche ai nostri alleati

L’aria che tira a Washington al vertice Nato del settantacinquesimo anniversario dell’Alleanza atlantica non è quella che Putin sperava. Grazie a Emmanuel Macron, è sfumata nel nulla l’eventualità che i più davano per scontata, cioè la Francia di Le Pen-Bardella prima a sfilarsi dal pieno sostegno militare all’Ucraina. Il New Labour di sir Keir Starmer che ha vinto nel Regno Unito è ferreamente anti Putin e filo Ucraina, vuole non tagliare ma alzare le spese per la Difesa al 2,5 per cento del pil. E al vertice la parola d’ordine è nuovi aiuti militari strategici a Kyiv, non ripetiamo l’errore commesso nel 2023 di alzare il piede dal pedale perché ha enormemente avvantaggiato Putin. In tutto questo, Giorgia Meloni è a Washington come maggior esponente di una destra europea ostile a Putin, e si trova alle prese col solito problema di Salvini che, strafelice della nomina del generale Vannacci a vicepresidente del gruppo dei “Patrioti” fondato dal filo Putin Orbán, le morde i garretti ogni giorno ripetendo “no armi italiane a Kyiv, allungano la guerra”.
 

Una guerra che per Salvini Putin ha già vinto, bisogna solo finirla lì. Meloni ha risposto che non se ne parla nemmeno, l’Italia continuerà negli aiuti, anzi aggiunge una batteria di missili antiaerei a lungo raggio Samp/T  (ce ne restano solo due), e annuncia anche che la spesa per la Difesa italiana nel 2025 salirà. In apparenza dunque tutto bene, Salvini a cuccia a rimirarsi le sue cartoline moscovite e per il resto avanti marsch. Invece non è così, e sarebbe ora di dirlo chiaramente. Nel 2023 non solo sono entrati nella Nato – spinti dal militarismo criminale di Putin – paesi ancorati alla neutralità come Svezia e Finlandia, innalzando verticalmente le proprie spese militari. Come ha fatto anche l’Austria, che le ha alzate di mezzo punto di pil. La stragrande maggioranza dei membri europei Nato ha cambiato marcia sulle spese militari, a maggior ragione in attesa dell’arrivo eventuale alla Casa Bianca di Trump, che all’Europa non farà più sconti. In Polonia il bilancio militare sfiora il 4 per cento del pil, in Estonia sta al 3, in Lituania al 2,7.  In Spagna, il socialista Sánchez ha annunciato che le spese per la Difesa saliranno dall’1,2 per cento del pil al 2 per cento. La Germania si avvia a superare il 2 a passo di corsa, grazie al maxi fondo di 100 miliardi voluto nel 2022 dal governo attuale.
 

La Francia di Macron l’anno scorso ha approvato una Legge di programmazione militare che prevede 413 miliardi di euro di spesa tra 2024 e 2030. I paesi Nato europei hanno scoperto di non avere riserve di munizioni di artiglieria, di poter contare su un numero troppo ridotto di sistemi missilistici ad alte prestazioni, di essere indietrissimo nella produzione su vasta scala di droni avanzati, essenziali nella nuova guerra multidominio. E se l’Europa è ancora indietro rispetto alla maxi accelerata che su ciascuno di questi settori, missili ipersonici e piattaforme a guida autonoma ha impresso negli Stati Uniti il Pentagono all’industria della Difesa, anche l’Europa finalmente di questo parla al vertice Nato. Torniamo allora al punto.
 

Tutto bene, quell’1,6 per cento di pil italiano in spese 2025 della Difesa annunciato da Meloni? No, assolutamente no. Parlano i dati. Nel 2023 le spese per la Difesa italiana erano l’1,46 per cento del pil. In questo 2024, scende all’1,43. Passare all’1,6 per cento di pil nel 2025 è un aumento di spesa inferiore allo 0,2, meno di 4 miliardi di euro. Ha ragione l’ultimo numero della serissima Rivista italiana difesa, diretta da Pietro Batacchi. L’aumentino servirà forse come segnale di fumo nella contesa con Salvini, ma è fuori dal trend di forte accelerazione in atto tra i membri europei Nato. Lo sa benissimo il ministro della Difesa Guido Crosetto, che di queste materie non è un apprendista, e che pure ha difeso lealmente nell’ultimo mese la linea che gli era stata data da Palazzo Chigi e Mef: il bilancio italiano non ha spazi per più spese alla Difesa. Ma allora si segua un’altra strada.
 

Si faccia un’operazione verità sullo stato reale delle nostre Forze armate, si dica con chiarezza quali e quanti sono davvero i mezzi di piena operatività e non fermi nei depositi privi di manutenzione. Si dica quanto siamo scoperti su pressoché ogni nuova categoria di piattaforme e sistemi più avanzati. È con la scoperta pubblica di quante solo poche dozzine di tank Leopard  fossero davvero operativi, rispetto al numero in teoria in forza alla Bundeswher, che si creò uno choc senza il quale il governo tedesco non avrebbe potuto presentare il maxi fondo pluriennale di 100 miliardi di euro per la Difesa. Facciamolo anche in Italia. Ma non cerchiamo di prendere in giro i nostri alleati. Perché stiamo dicendo che l’Italia non può essere in prima linea in un serio dispositivo di difesa congiunta.

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