A Washington
Zelensky non ha il tempo che hanno gli alleati della Nato per discutere dell'età di Biden
L’Ucraina non può aspettare le elezioni americane: “Abbiamo bisogno di azioni subito". Gli incontri al vertice dell'Alleanza, gli aiuti a Kyiv e il percorso "irreversibile" dentro la Nato
“L’America può essere grande ogni giorno”, ha detto Volodymyr Zelensky alla vigilia del vertice della Nato a Washington, in un discorso al Ronald Reagan Institute costruito sulle parole dell’ex presidente americano – queste, che Reagan disse nel febbraio del 1988: “La strategia per la pace è sempre stata semplice: essere forti abbastanza, essere determinati abbastanza così che nessun avversario possa pensare, nemmeno per un attimo, che fare la guerra possa pagare”. Tutti aspettano novembre, ha detto Zelensky, ma gli ucraini non possono, sono sotto attacco ogni giorno – dopo l’atroce bombardamento dell’ospedale pediatrico a Kyiv, mercoledì mattina era di nuovo Odessa sotto tiro – e se non si difendono ogni giorno, perderanno, cioè moriranno. Siamo tutti appesi a novembre, alle elezioni americane, ma l’Ucraina non ha tempo: “Abbiamo bisogno di azioni subito, di azioni ogni giorno, forti, così la vita può vincere e i nostri nemici come Putin avranno paura delle nostre azioni”.
L’America è al centro del vertice della Nato non soltanto perché è il paese ospite, ma perché si trova di nuovo, come nel 2016, come nel 2020, con la possibilità di un presidente che non considera l’Alleanza atlantica per quello che è, cioè il perno della difesa occidentale, dei suoi valori e della sua libertà (Zelensky è andato a parlare in un centro studi che i trumpiani non frequentano). Nel 2016 eravamo impreparati, nel 2020 Trump è stato sconfitto, a novembre potrebbe tornare alla Casa Bianca e nessuno potrà dire di non conoscere le sue intenzioni. Al comizio in Florida di due sere fa, quello in cui è comparso per la prima volta anche il figlio Barron e durante il quale l’ex presidente ha giochicchiato ancora una volta sulla scelta del suo vicepresidente, Trump ha ribadito che non difenderà dalle minacce russe gli alleati inadempienti (c’è anche l’Italia tra questi) e ha detto che quando era presidente non sapeva che cosa fosse la Nato. Nel suo programma elettorale, sintetizzato in 20 punti scritti tutti in maiuscolo, c’è al numero 8: “Evitare la terza guerra mondiale, riportare la pace in Europa e nel medio oriente, costruire il più grande sistema di difesa missilistica Iron Dome sul nostro paese – tutto prodotto in America”. Al numero 12: “Rafforzare e modernizzare l’esercito, rendendolo, senza dubbi, il più forte e il più potente di tutto il mondo”. Trump fa Trump, indisturbato e pericoloso, mentre il resto del mondo guarda fisso Joe Biden, per vedere se incespica, si confonde, biascica, e dice, come fa pure George Clooney, che deve fare un passo indietro (il New York Times, che si è intestato la battaglia per far dimettere Biden, ha scritto del discorso che il presidente ha tenuto martedì sera all’apertura dei lavori dell’Alleanza dicendo più o meno: Biden non ha fatto troppi errori, ma con il teleprompter sono bravi tutti). Yulia Ioffe cita nel suo articolo sul sito Puck le frasi del capo di un think tank anonimo che dice che gli europei sono arrivati a Washington “per parlare di Biden”, e un funzionario della Nato che confessa: “Siamo ossessionati”. In generale, Ioffe registra un sentimento condiviso: la rassegnazione, tornerà Trump. Biden invece, che ha scelto questo palco per dimostrare che può andare avanti, ha citato Harry Truman e la sua definizione della Nato – “uno scudo contro l’aggressione e contro la paura dell’aggressione” – e ha ricordato che i paesi che prima destinavano il 2 per cento del loro pil all’Alleanza erano nove, mentre ora sono 23: “Non accaduto per caso, è accaduto per scelta”.
Si aspetta novembre, “e parlando francamente – ha detto Zelensky, che di ossessione ne ha una sola, cioè salvare l’Ucraina – anche Putin aspetta novembre, uccidendo e distruggendo per prepararsi, in modo da essere pronto a quel che novembre porterà con sé”. Questo vertice della Nato era già fin dai preparativi pensato non soltanto per mettere l’Alleanza in sicurezza rispetto al possibile ritorno di Trump, ma anche per iniziare un processo di compensazione indispensabile alla Nato del futuro: gli alleati europei devono essere più forti e più autonomi. Zelensky ha incontrato i capi di stato e di governo con cui ha siglato gli accordi bilaterali, come Olaf Scholz, il cancelliere tedesco che tutti liquidano come politicamente azzoppato, che ha fatto una dichiarazione molto seria: la Germania è il secondo alleato della Nato per impegno finanziario, sappiamo di avere una grande responsabilità e Kyiv può fidarsi di noi. Emmanuel Macron è arrivato trafelato in ritardo, dopo aver scritto una lettera ai francesi in cui dice che l’Assemblea nazionale può tornare stabile se si crea una coalizione di governo con chi crede nelle istituzioni e nei valori repubblicani. Il presidente francese ha siglato un accordo bilaterale con l’Ucraina e da mesi ha messo al centro della sua politica estera e di quella europea la necessità di difendere a tutti i costi Kyiv e di garantirne la vittoria: il suo messaggio alla Nato è lo stesso, e chi lo considera debole continua a ignorare il fatto che la politica estera della Francia sarà sotto la sua direzione fino al 2027.
Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato uscente (entrerà al suo posto l’ex premier olandese, Mark Rutte: i trumpiani non sono contenti e già parlano di sostituzione), ha detto oggi che l’Ucraina ha bisogno di garanzie di sicurezza, “e la migliore e più forte garanzia di sicurezza sarà l’articolo 5” – secondo fonti diplomatiche, la dichiarazione finale di questo summit definirà “irreversibile” il percorso d’integrazione dell’Ucraina nella Nato – e ha ribadito che cosa contiene il pacchetto di aiuti per Kyiv, assistenza, formazione e difesa aerea: “Sostenere l’Ucraina non è fare beneficenza, è un nostro preciso interesse per la sicurezza collettiva”.