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L'analisi

La sorpresa per le elezioni francesi è solo per chi non sa come funzioni il doppio turno

Alberto Mattioli

Se inseriamo le ultime vicente d'oltralpe in un contesto storico, la sconfitta di Le Pen è sempre meno sorprendente. Tre considerazioni per chi, tipo la stampa italiana, è rimasto stupito dalla seconda tornata elettorale in Francia

La “sorpresa” delle legislative francesi è tale soltanto per chi, tipo la stampa italiana, non sa come funziona il doppio turno, il più tipicamente gallico dei sistemi elettorali. Ma, a parte questo, provando un po’ a inserire le ultime vicende in un contesto storico, la sorpresa risulta ancora meno sorprendente. Tre considerazioni.
 

La prima. Dal 1789, la Francia ha avuto cinque repubbliche con almeno sette costituzioni diverse, due imperi, una restaurazione, una monarchia borghese e un État français sostanzialmente fascista: il massimo dell’instabilità. Eppure, la sua geografia politica non è mai cambiata. Le divisioni e contrapposizioni fra destra e sinistra si ripetono puntualmente dai tempi della Rivoluzione, se non addirittura dalle guerre di religione. E così ci sono regioni, città, classi sociali, perfino famiglie che, nel corso dei decenni, sono state di volta in volta ugonotte o papiste, “bleu” o “blanc”, bonapartiste o legittimiste, monarchiche o repubblicane, per Vichy o per la Resistenza. I seguaci di Mélenchon, per inciso non meno inquietanti di quelli di madame Le Pen, sono antropologicamente eguali ai loro predecessori giacobini o comunardi: stesso estremismo, stessa passione per la piazza, stessa nostalgia per la ghigliottina (per ora solo fiscale, poi si vedrà) come strumento di palingenesi sociale. Dall’altra parte, il rapporto dei lepenisti con la Quinta repubblica non è molto diverso da quello delle destre che tentarono il colpo di forza del 1934 contro la “gueuse”, l’odiata Terza repubblica massonica e laica, provocando per reazione la vittoria del Front populaire con gli immancabili disastri che tutti i fronti popolari sempre provocano. Insomma, plus ça change plus c’est la même chose: una nazione profondamente divisa secondo cesure ben precedenti a Macron e anche a De Gaulle, che il tempo non ha appianato ma anzi radicalizzato. Del resto, lo stesso général diceva che era impossibile governare un paese che produce 246 varietà di formaggi diverse.
 

La seconda. La contrapposizione fra Parigi e la Francia. Altra bella scoperta di analisti prêt-à-penser: è così da quando il paese è stato unificato, e diversi secoli prima dell’Italia. La Francia non esiste. Ci sono “le” France e sono due: Parigi e il resto. Divise da tutto, a cominciare dalla stessa lingua che nella capitale si parla più in fretta e peggio, per tacere poi del gergo in uso nelle banlieue che con il francese ha solo dei rapporti remoti. Non c’è mai stata alcuna Rivoluzione francese: nel 1789, nel 1830, nel 1848, nel 1870, nel 1968 sono sempre state rivoluzioni parigine, che il resto della nazione ha approvato o più spesso subìto, mai voluto. Fra Parigi e la provincia (in Francia fuori dalla Capitale è tutta provincia, a differenza che in Italia che di capitali è piena e dove la città più provinciale è proprio la Capitale) la diffidenza è totale e reciproca. L’exploit Rn del primo turno, in testa ovunque tranne che a Parigi, è l’ennesima riproposizione di questo dualismo. Ma anche in democrazia, in Francia i voti si pesano e non si contano: e quelli di Parigi valgono di più.
 

Terza considerazione, questa volta sulla destra. La destra, in Francia, non è mai stata considerata impresentabile né dal punto di vista politico né da quello intellettuale. Il problema è: quale destra? Perché la destra è sempre stata molte cose diverse, un fiume dove confluiscono la vecchia Francia cattolica, monarchica e controrivoluzionaria (ancora forte nelle sue roccaforti della Bretagna e dell’ovest), quella liberale nella sua attuale variante tecnocratica macronista e quella nostalgica di Pétain e dell’Oas, prima incarnata da Le Pen père e oggi rispolverata dalla figlia sull’onda della far right americana e della rivolta contro le élite. E’ una destra composita che ha i suoi quarti di nobiltà intellettuale, di certo molto più di quella italiana: fra il visconte di Chateaubriand e il principe di Canosa c’è almeno la stessa siderale distanza che fra Malraux e Sangiuliano. Il problema non è la destra, ma quale destra: e oggi, purtroppo, in Francia prevale quella peggiore.

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