Sopravvivere a Putin

Nariman Dzhelyal si è fatto tre anni da prigioniero politico e ci racconta com'è la Crimea oggi

Kristina Berdynskykh 

Il giornalista e politico ucraino scontava una condanna politica di 17 anni in Siberia. E' stato liberato in uno scambio di prigionieri: "Non ho mai dubitato che i miei amici, conoscenti e sconosciuti, avrebbero continuato a lottare per il mio rilascio”. Durante la prigionia, il suo principale compito era quello di sopravvivere: “Sopravvivere fisicamente, sopravvivere psicologicamente e tornare a casa come una persona normale, adeguata, non distrutta”

Kyiv. La distanza tra la Crimea e la prigione di Minusinsk, in Siberia, è di oltre 5 mila chilometri. Nariman Dzhelyal, tataro di Crimea, giornalista e politico ucraino, si trova lì dall’autunno del 2023 per scontare una condanna a 17 anni. Prima era stato detenuto per due anni in due diversi centri di detenzione in Crimea. Dzhelyal è uno degli oltre duecento prigionieri politici della Crimea tradotti in carcere dalla Russia negli ultimi dieci anni. 

 

Il 28 giugno scorso, Nariman Dzhelyal è  tornato in Ucraina. E’ stato rilasciato nell’ambito del 53° scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina. “Non ho mai dubitato che i miei amici, conoscenti e sconosciuti, avrebbero continuato a lottare per il mio rilascio”, ci dice Dzhelyal in un’intervista, seduto in un confortevole edificio  nel centro di Kyiv. E aggiunge che il suo rilascio è stato possibile grazie agli sforzi diplomatici non solo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ma anche del presidente turco Recep Erdogan. Dzhelyal, 44 anni, rappresenta la popolazione indigena della Crimea, i tatari di Crimea, e ricopre il ruolo di vice capo del Mejlis, il loro organo di governo. Quando la Russia ha annesso la Crimea nel 2014, l’attivista ha deciso di non partire per l’Ucraina continentale ed è rimasto a vivere con la sua famiglia nella penisola. Altri leader del Mejlis sono stati costretti a lasciare la Crimea. A molti di loro è ufficialmente vietato l’ingresso in Crimea. Ad esempio, il leader dei tatari di Crimea, l’ottantenne Mustafa Dzhemilev, è partito per un viaggio di lavoro nel 2014. Quando ha cercato di tornare a casa, ha appreso che la Russia aveva emesso un divieto d’ingresso in Crimea contro di lui. Il divieto è valido fino al 2034. 

Nariman Dzhelyal è rimasto in Crimea. Continuava a dire che si trattava di territorio ucraino, anche quando gli attivisti filo-ucraini hanno iniziato a essere arrestati e rapiti. “Sin dal 2014 mia moglie e io non abbiamo mai parlato di lasciare la Crimea”, mi assicura.  Nel 1944 Joseph Stalin ordinò la deportazione di tutti i tatari di Crimea dalla penisola all’Asia centrale. Per questo Nariman Dzhelyal è nato in Uzbekistan. Le autorità sovietiche permisero ai tatari di Crimea di tornare a casa solo nel 1989. Dzhelyal aveva 9 anni quando è arrivato per la prima volta nella terra che aveva dato i natali al suo popolo. Per lui la Crimea, sia allora che oggi, è il suo posto preferito al mondo. “Che tutti mi perdonino, ma la mia casa, gli amici del mio villaggio, sono più vicini a me di Kyiv o di qualsiasi città d’Europa”, mi spiega, “La steppa di Crimea, le montagne, il mare - amo tutto!”.  

Il 23 agosto del 2021, Nariman Dzhelyal ha partecipato alla prima riunione della “Piattaforma Crimea” a Kyiv. Allora una nuova iniziativa diplomatica delle autorità ucraine, apparsa dopo la vittoria di Volodymyr Zelensky alle elezioni presidenziali, mirava a riportare la Crimea nell’agenda internazionale e sotto il controllo ucraino. Dopo aver parlato al forum di Kyiv ed essere tornato a casa, Nariman Dzhelyal ha avuto la premonizione che la sua partecipazione alla piattaforma lo avrebbe messo a rischio di essere imprigionato. “Ho detto a mia moglie: devi essere pronta. Potrei essere arrestato”, ricorda. Sua moglie Levise si è rivelata molto più dura del previsto, osserva l’ex prigioniero politico con un sorriso. Allevando quattro figli, ha lottato per il rilascio del marito per tre anni ed è diventata il suo difensore d’ufficio. 

 

Dzhelyal è stato arrestato nel settembre  del 2021, poche settimane dopo la riunione di “Piattaforma  Crimea”, come si aspettava, con l’accusa di aver commesso un sabotaggio danneggiando un gasdotto in un villaggio della Crimea. Era un’accusa inventata, dice Dzhelyal, e il suo caso era puramente politico. Durante la prigionia, il suo principale compito era quello di sopravvivere. “Sopravvivere fisicamente, sopravvivere psicologicamente e tornare a casa come una persona normale, adeguata, non distrutta”, spiega Dzhelyal. Non è stato torturato o picchiato, ma contro di lui sono stati utilizzati altri metodi di pressione. Per esempio, in uno dei centri di detenzione è stato costretto a imparare l’inno russo, non gli è stato permesso di sedersi sul letto, non ha mai potuto alzare la testa e guardare le facce e gli occhi dei suoi guardiani. “Li riconoscevamo dalle scarpe”, racconta Dzhelyal. 

 

Mentre si trovava in una prigione russa in Siberia, ha lavorato. Ha cucito guanti e vestiti. In questo modo il tempo passava molto più velocemente che stando seduto in una cella. Al lavoro era anche possibile incontrare altri prigionieri politici. Poco prima del rilascio di Nariman Dzhelyal, Osman Arifmemetov, un giornalista cittadino della Crimea che scriveva di processi e persecuzioni politiche, fu portato nel carcere di Minusinsk. Dzhelyal è riuscito a parlargli dopo averlo incontrato al lavoro. Ha cercato di sostenere il suo connazionale e ha condiviso la sua esperienza di sopravvivenza in carcere. Durante questi tre anni, ha incoraggiato altri prigionieri politici, invitandoli a non perdere la speranza di essere rilasciati e a non entrare a far parte del mondo criminale carcerario, che vive secondo le proprie leggi e regole. 

Dopo il ritorno in Ucraina, Nariman Dzhelyal ha incontrato il presidente Zelensky e gli ha promesso che avrebbe sicuramente preso un altro caffè con lui in Crimea, liberata dall’occupazione russa. Ha anche contattato gli amici nella penisola per sapere qual è la situazione attuale. Secondo Dzhelyal, la situazione è terribile. La gente ha paura, non si fida di nessuno per il timore di denunce da parte dei collaborazionisti. Si fidano solo della cerchia più stretta di amici e familiari. In Crimea ci sono anche movimenti di resistenza e guerriglia, ma è molto rischioso. 

Per tutta questa settimana il deputato del Mejlis rilascia interviste ai media ucraini e stranieri, parlando della sua prigionia, del suo rilascio e della Crimea. Poi sparirà per un po’, perché vuole stare con la sua famiglia, la moglie e i quattro figli, che hanno lasciato la Crimea dopo il suo rilascio. Nariman Dzhelyal si rende conto che non potranno tornare presto nella loro terra natale. E su questo ha sentimenti ambivalenti. “In prigione ci si abitua a non appartenere a se stessi. Sei rinchiuso, privato della tua libertà, privato della possibilità di decidere qualcosa. Ti dicono: vai di qua, vai di là. Ho imparato ad accettare le circostanze così come sono”, dice con tristezza. Uno dei leader tatari di Crimea intende lottare per il rilascio di altri prigionieri politici e sogna di poter tornare, prima o poi, nella sua amata Crimea. 

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