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Antisemitismo

Da bravi allievi dell'Iran, i pro pal profanano la memoria dell'Europa. Il sondaggio Ue 

Giulio Meotti

Una rilevazione condotto su ottomila ebrei provenienti da tredici paesi europei ha rilevato che il 96 per cento degli intervistati dice di incontrare l’antisemitismo nella propria vita quotidiana

Un sondaggio condotto su ottomila ebrei provenienti da tredici paesi europei ha rilevato che il 96 per cento degli intervistati dice di incontrare l’antisemitismo nella propria vita quotidiana, ha riferito l’Agenzia per i diritti fondamentali della Ue, che ha condotto il più approfondito sondaggio dopo il 7 ottobre. Il 76 per cento degli intervistati ha riferito di nascondere la propria identità ebraica “almeno occasionalmente” e il 34 per cento di evitare eventi o siti ebraici “perché non si sente sicuro”. Intanto ogni giorno si assalta un simbolo della Shoah.
 

A maggio, il muro dei Giusti presso il Memoriale dell’Olocausto di Parigi è stato vandalizzato con le mani rosse, riferimento diretto al massacro da parte della folla palestinese di due riservisti israeliani a Ramallah il 12 ottobre 2000, all’inizio della Seconda intifada. Ieri, rettangoli gialli con scritto “Palestina libera” sono stati attaccati sulla targa che ricorda la deportazione di diciannove bambini ebrei da Saint-Denis ad Auschwitz-Birkenau. “La profanazione di un monumento commemorativo è di una gravità senza precedenti”, ha reagito il sindaco Mathieu Hanotin. “Saint-Denis è una città multiculturale”. Una scritta in vernice rossa, “Gaza”, è stata  lasciata sul piedistallo in marmo della statua di Anne Frank nel parco del quartiere in cui viveva con la famiglia ad Amsterdam. “Davvero vergognoso che qualcuno pensi di attirare l’attenzione sulla causa palestinese imbrattando l’immagine di Anne Frank”, ha dichiarato Stijn Nijssen, consigliere della città olandese.
 

Nelle scorse settimane,  anche il memoriale della Shoah di Berlino veniva vandalizzato, mentre sempre ad Amsterdam migliaia di manifestanti in nome di Gaza e della “pace” assediavano con mezzi poco pacifici il nuovo museo della Shoah e fischiavano il re dei Paesi Bassi  e il presidente israeliano Isaac Herzog. Una conferenza in Olanda nel campo di transito nazista di Westerbork è stata cancellata a causa delle minacce. A Londra, a Hyde Park, la polizia ha coperto con un grande telo blu la stele commemorativa della Shoah per timore di attacchi, come è successo alla statua di Winston Churchill davanti a Westminster. Sempre a Berlino, la cupola di al Aqsa di Gerusalemme è stata disegnata sul monumento al Kinderstrasnport, che commemora il salvataggio di diecimila bambini ebrei dalla Germania nazista. A Fléron, in Belgio, ecco comparire la scritta “Gaza Free” sulla porta di casa di un sopravvissuto alla Shoah. Lo stesso avviene negli Stati Uniti, da Philadelphia a Seattle, dove il museo dell’Olocausto è stato vandalizzato con la scritta “genocidio a Gaza”.
 

Non è occasionale vandalismo, è una strategia di brutalizzazione e appropriazione dello sterminio degli ebrei dopo il 7 ottobre. È come quando gli ayatollah iraniani negano la “menzogna” della Shoah per annunciare la distruzione del “tumore sionista”. Lo ha scritto sui social l’ex presidente della Malesia, Mahathir Mohammed: “Il potere degli israeliani sui palestinesi è lo stesso che avevano i nazisti sugli ebrei”.
 

Chiunque sappia qualcosa di Shoah deve impegnarsi molto per trovare paralleli con Gaza. Ma il consigliere Nijssen si sbaglia: un’immagine di Anne Frank con la kefiah palestinese è molto popolare in Europa. È sufficiente scorrere quanto ha scritto la stampa dopo il 7 ottobre. “Ricordiamo la Shoah pensando a Gaza” (Il Secolo XIX), “La Shoah dopo Gaza” (London Review of Books), fino ai vari circoli dell’Anpi che organizzano convegni su “Shoah e genocidio a Gaza”. Non offende il volto di Anne Frank negli account su X del Bds, il boicottaggio di Israele. O il film palestinese “Anne Frank: then and now”, proiettato durante la guerra a Gaza del 2014.
 

Il fallimento dell’educazione sulla Shoah è stato osservato con maggiore acutezza da Dara Horn, in particolare in un saggio preveggente per l’Atlantic la scorsa primavera e prima ancora in un libro, People Love Dead Jewish, la gente ama gli ebrei morti (ora neanche quelli, a quanto pare). Dopo aver visitato numerosi musei e aver parlato con gli educatori che insegnano i programmi sulla Shoah, Horn concludeva: “Il presupposto fondamentale che dura da quasi mezzo secolo è che conoscere l’Olocausto vaccina le persone contro l’antisemitismo. Ma non è così”. Per questo attaccano i memoriali in Europa. Se Anne Frank fosse viva, non potrebbe oggi girare con una stella di Davide al collo per le vie di Amsterdam e di molte altre città europee. Fra le vignette premiate dal regime iraniano, una mostra Anne Frank a letto con Hitler, che le dice: “Scrivi questo nel tuo diario”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.