Non basta dirsi a favore dell'Ucraina solo a parole
Dare le armi per colpire le basi russe e rivedere "Strade sicure". Il vertice della Nato mostra le ipocrisie del governo quando parla di difesa (e di Kyiv)
Whatever it takes. La notizia più importante della tre giorni di vertice della Nato riguarda senza ombra di dubbio la volontà, da parte dei paesi che fanno parte dell’Alleanza atlantica, di continuare a sostenere con tutti i mezzi a disposizione una democrazia speciale, come quella ucraina, che si trova da più di due anni aggredita da un criminale di guerra chiamato Vladimir Putin.
Il whatever it takes della Nato coincide con lo stanziamento di una quota ulteriore di finanziamenti messa a disposizione di Volodymyr Zelensky, circa 40 miliardi di euro di assistenza per il prossimo anno, che si somma ai 60 miliardi di dollari già stanziati dagli Stati Uniti, che si sommano ai 50 miliardi di euro di prestiti annunciati al G7 in Puglia, che si sommano ai 50 miliardi di euro contenuti all’interno di uno strumento finanziario ideato dall’Unione europea finalizzato al sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina. Dal vertice della Nato a Washington l’Italia ne esce parzialmente bene e parzialmente male. Parzialmente male perché in Europa l’Italia è una delle pecore nere sul tema della difesa della Nato ed è, insieme con Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Slovenia e Croazia, uno dei pochi paesi che spendono meno del due per cento del pil a favore della Difesa (nel 2023, l’Italia ha speso 28,6 miliardi di euro, una cifra inferiore di 10 miliardi a quella che avrebbe dovuto spendere se avesse rispettato la soglia del due per cento indicata dalla Nato, cioè 39,2 miliardi). Ne esce parzialmente bene invece perché nonostante il fatto che la soglia del due per cento è previsto che venga raggiunta entro il 2028 e nonostante il Def abbia previsto un leggero calo della spesa dedicata alla Difesa per il 2024 (attualmente è all’1,46 per cento, la previsione per l’anno in corso è dell’1,45) ieri Giorgia Meloni ha confermato che l’Italia arriverà nel 2025 all’1,6 per cento del pil, per le spese della Difesa, e l’intenzione di fare di più, e non di meno, è certamente una notizia positiva, almeno agli occhi di tutti coloro che sono convinti che in un mondo instabile, minacciato dai regimi autoritari, investire nella Difesa significa semplicemente proteggere se stessi.
Fare un passo nella giusta direzione è importante ma farlo in modo così timido è un indizio di un problema più grande che merita di essere analizzato: ma un paese, come l’Italia, guidato da una presidente del Consiglio che considera cruciale l’atlantismo, che considera cruciale la difesa dell’Ucraina, che considera cruciale la difesa militare di un paese che come il resto d’Europa è esposto a numerose e potenziali minacce esterne può ritenersi soddisfatto, in questo campo, dall’aumento di uno zero virgola due per cento del pil delle spese militari? Il whatever it takes italiano per proteggere l’Ucraina, e proteggere se stessa, passa dai soldi, ovviamente, ma passa anche da una consapevolezza diversa, dalla volontà di ragionare sui temi che riguardano la Difesa senza più ipocrisia. E’ ipocrita per esempio, come fatto in questi giorni dal bravo ministro Giancarlo Giorgetti, dire che il problema delle spese militari in Italia è un problema legato alla contabilità non alla volontà: se fosse possibile scorporare dal calcolo del debito le spese militari, dice Giorgetti, non ci sarebbero problemi, e l’Italia lo farebbe.
Ma pensare che la difesa di un paese dipenda dalle acrobazie contabili, dalla possibilità di farsi rimborsare una spesa, significa voler chiudere gli occhi su quelle che sono le minacce del presente. È ipocrita questo, naturalmente, così come è ipocrita anche altro. È ipocrita, per esempio, chiedere più soldi per rafforzare l’apparato militare del nostro paese e poi decidere di impiegare ancora di più il personale militare per la sempre meno utile operazione “Strade sicure”, la scorsa settimana sono stati aggiunti altri 1.500 militari alle 6.800 unità già operative sul territorio nazionale, togliendo ulteriori militari dall’addestramento e costringendoli a presidiare il territorio, per ragioni di anti terrorismo, solo per questioni di forma, più che di sostanza: i militari impiegati in queste operazioni non hanno capacità operative, essere impiegati in queste operazioni riduce il livello di addestramento delle unità e sentir dire che all’Italia servono nuovi militari per difendere il paese quando i militari già addestrati vengono trasformati in vigilantes suscita sentimenti non positivi.
È ipocrita tutto questo ma è ipocrita, prima di tutto dire, come fa il governo italiano, che faremo di tutto per difendere l’Ucraina dalla minaccia russa e poi, per dare un contentino ai Patrioti per Putin guidati in Italia dalla Lega di Matteo Salvini, dire che l’Italia non acconsentirà mai all’utilizzo delle armi che dà all’Ucraina per colpire le basi russe, al confine con l’Ucraina, da cui partono gli attacchi contro la stessa Ucraina. Il vicepremier Antonio Tajani, mercoledì, lo ha ripetuto ancora: “Mai le nostre armi colpiranno in Russia”. Mesi fa si pensava che la posizione del vicepremier italiano potesse essere legata al fatto che le armi italiane inviate all’Ucraina erano armi difensive e non offensive, non capaci cioè di arrivare a colpire basi militari russe. Il problema però è che nelle ultime settimane sono emerse alcune verità che ribaltano la narrazione e che testimoniano il fatto che la scelta del governo non è dettata dal tipo di armi che l’Italia offre all’Ucraina ma è dettata da una scelta di campo. Da una scelta. Dal voler armare l’Ucraina chiedendo però di mettersi poi un braccio dietro la schiena. L’Italia offre all’Ucraina alcune armi a lunga gittata. Insieme al Regno Unito e alla Francia, il nostro paese ha fornito all’Ucraina i missili da crociera Storm Shadow che sono abitualmente impiegati da alcuni velivoli da combattimento ucraini (Sukhoi Su-24M) per colpire obiettivi nelle retrovie delle forze russe in Crimea e nei territori ucraini sotto il controllo di Mosca e che potrebbero essere utilizzati anche per colpire le basi russe da cui l’esercito di Putin fa partire i missili contro l’Ucraina. E oltre agli Storm Shadow, l’Italia ha inviato all’Ucraina anche il così detto Multiple Launch Rocket System (Mlrs) che è un sistema di artiglieria lanciarazzi multiplo che serve a colpire con estrema precisione gli obiettivi militari.
Quello che il governo italiano ha fatto finora per l’Ucraina, prima con il governo Draghi e con il ministro Guerini e ora con il governo Meloni e il ministro Crosetto, è molto. Ma il fatto di avere mezzo governo che boicotta le scelte della premier (i Patrioti per Putin), il fatto di avere mezzo governo che invita a non dare più armi all’Ucraina (Salvini) mentre la Nato si prepara a mandarne altre (i Patriot, grazie agli Stati Uniti) e il fatto di avere un’opposizione che al contrario di ciò che accadeva durante il governo Draghi (quando Meloni era all’opposizione) non aiuta in nessun modo il governo a rafforzare il suo aiuto a una democrazia ferita offre al governo un alibi perfetto per essere molto a favore dell’Ucraina con le parole (e con i tweet) ma un po’ meno con i fatti. Dinanzi a un paese che combattendo ogni giorno contro un criminale di guerra chiamato Putin altro non chiede ai suoi partner di fare tutto il necessario, e di più, per permettere all’Ucraina di vincere la sua guerra. Come si sarebbe detto un tempo: whatever it takes.