Quale sarà il destino di Attal e Bardella, i due delfini “azzoppati”
A inizio anno il primo ministro e il leader del Rassemblement national erano sicuri di rappresentare il presente e il futuro della politica francese. Ora sono entrambi reduci da due delusioni che necessiteranno di tempo per essere digerite.
Parigi. Quando a gennaio, a sorpresa, con l’ennesimo coup de théâtre della sua presidenza jupitérienne, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nominò Gabriel Attal alla guida del governo, facendolo diventare a 34 anni il più giovane primo ministro della storia della Quinta Repubblica, la maggior parte degli osservatori affermò che l’inquilino dell’Eliseo aveva scelto il suo erede, il rigeneratore di un macronismo in crisi di identità e alla ricerca di una scintilla.
“Ciò che distingue i grandi presidenti è che hanno fatto emergere delle generazioni politiche, come de Gaulle e Mitterrand. La nomina di un primo ministro della ‘generazione Macron’ è una scelta rivendicata”, disse all’epoca uno dei consiglieri del capo dello stato, prima di aggiungere: “Contrariamente a ciò che è stato detto diverse volte, il presidente si è sempre iscritto in una logica di trasmissione in vista del 2027. Ha sempre voluto che la sua avventura continuasse. Per raggiungere questo obiettivo, sta ponendo delle basi ideologiche, ma c’è anche una questione di casting. Fa emergere delle personalità. A livello istituzionale, Gabriel è oggi la prima di queste personalità”.
La mossa di Macron era anche una risposta alla rupture generazionale decisa da Marine Le Pen, leader del sovranismo francese, che nel novembre 2022 aveva ceduto le redini del suo partito, il Rassemblement national (Rn), a un 26enne, Jordan Bardella. “Lo choc della nuova generazione”, scrisse il Figaro, presentando i delfini del macronismo e del lepenismo come due Rastignac, dall’ambizione smisurata, che incarnavano fino quasi alla caricatura i tratti e le caratteristiche dei loro rispettivi campi. Il volto da primo della classe, le grandes écoles alle spalle (École Alsacienne e Sciences Po), le frequentazioni progressiste da una parte, Attal; la faccia di chi ha faticato per emergere, la formazione scolastica nelle banlieue, la scalata in politica nel microcosmo lepenista di Montretout (il castello della famiglia Le Pen) dall’altra, Bardella.
Ma oggi, a sei mesi di distanza dal rimpasto che portò Gabriel Attal alla guida dell’esecutivo e installò nel dibattito politico la sfida con Jordan Bardella, come stanno i due eredi?
Non bene come a inizio anno, quando Attal aveva il vento in poppa e, nonostante l’età, non sentiva le vertigini di un ruolo così importante come quello di primo ministro di Francia, e quando Bardella, astro nascente del sovranismo d’oltralpe, non poteva neppure immaginare la batosta elettorale di luglio, alle legislative anticipate, la grande illusione dopo il trionfo delle europee. Sono due leader azzoppati, oggi, entrambi reduci da due delusioni che necessiteranno di tempo per essere digerite.
Attal, che il Monde aveva inserito tra “i giannizzeri devoti anima e corpo al capo dello stato” e che ha sofferto per l’annuncio della dissoluzione dell’Assemblea nazionale di cui non era stato informato, ha provato addirittura a farsi da parte, presentandosi all’Eliseo lunedì mattina, il giorno dopo il secondo turno delle legislative, con le dimissioni in mano. Il presidente, tuttavia, le ha rifiutate, chiedendogli di non lasciare il suo incarico per “garantire la stabilità del paese”. Ma quanto durerà? Lunedì è stato “il primo giorno del resto della sua vita”, ha scritto il settimanale Point, perché “Gaby”, come lo chiamano i suoi fedelissimi, non ha intenzione di lasciare la leadership del “blocco centrale” ai rivali venuti dal gollismo, a quei Le Maire e Darmanin che vogliono fargliela pagare per essere stato promosso a Matignon prima di loro. “Ora, sono in modalità warrior”, ha assicurato Attal al Point, la notte del secondo turno delle legislative.
Anche Bardella promette di rialzarsi, nonostante la botta di domenica scorsa sia stata veramente dolorosa. Quando ha preso la parola dal quartier generale del Rassemblement national per commentare il risultato delle legislative, aveva la faccia di un pugile suonato, consapevole che andavano fatti più controlli sui candidati frontisti (certi profili razzisti e xenofobi investiti dal Rn hanno certamente raffreddato alcuni elettori), e che quella di domenica è stata un’occasione sprecata, un’occasione che gli era stata dal suo Pigmalione, Marine Le Pen. “Non sarò il Macron di Marine Le Pen”, giura Bardella, non farà come l’attuale presidente con il “mentore” François Hollande, mentre altri si chiedono se Attal, il bravo allievo del macronismo, sarà ancora il “futuro erede” o sarà presto il “futuro traditore”.