L'editoriale dell'elefantino
Elogio della senilità
Se non c’è spazio per un colpo di scena, allora viva la vecchiaia. Anche quella di Biden, che pur rimbambito in effigie non è un bugiardo autoritario
Con la vecchiaia bisogna com’è noto venire a patti, magari senza citare Seneca o Cicerone o Bobbio. Altro che Biden, vecchissimo ma per certi aspetti un ragazzino giocoso. Se Trump chiama Apple Tim Cook, Tim Apple, lui chiama Trump la sua vicepresidente e Putin Zelensky (ottima la repartie dell’ucraino: “Io sono migliore di lui”). E allora? Un poco di dislessia verbale è sempre stata tipica di un ex balbuziente, che però ha ottantuno anni, il che non è poco. Non poteva non correre per succedere a sé stesso, ovvio, e forse dovrebbe ora cedere il passo malgrado quattro anni fenomenali di presidenza in economia e in politica estera e di difesa e in infrastrutture e lavoro e industria (inflazione domata compresa). Coronati dal vertice Nato di Washington in un mondo di nuovo aspramente e pericolosamente diviso. Ma è vecchio, cioè la più fedele rappresentazione del mondo occidentale e delle tendenze demografiche prevalenti, e si batte contro un gangster appena più giovane di lui, che conta sulla cattiveria e le bugie per tenersi in forma.
Biden è un uomo politico capace, e lo ha dimostrato in mille occasioni, sempre sottovalutato. Crede di potercela fare con l’Arancione. Chissà. Quel che è certo è che la polemica, a tratti irridente contro la sua vecchiaia, sta diventando un esercizio petulante, al quale da ultimo si è associato il marito di Amal Clooney, una troppo giovane per capire la pace e la guerra, Israele e i palestinesi. Ora la piantino. Decidano, se possono, o tacciano, se non vogliono fare del puro autolesionismo. La vecchiaia porta malanni e acciacchi, non estranei purtroppo anche alle età giovani o intermedie, ma non è una malattia, senectus ipsa morbus è una metafora non una sentenza, la vecchiaia è piuttosto un destino comune, le istruzioni per l’uso sono molto meglio delle derisioni, perché ci arrivano tutti prima o poi, tranne chi è caro agli dèi. In vecchiaia certe cose sono più chiare, anche se si moltiplichino le gaffe e gli scambi di persona e gli errori di lettura di un teleprompter, anche quando rende difficile battersi oratoriamente contro un mentitore professionale disgustoso ma in forma. Il presidente degli Stati Uniti esiste e non esiste, d’altra parte. Esiste certamente la presidenza degli Stati Uniti, un sistema decisionale lubrificato dall’esperienza e dal tempo, al centro del quale sta un uomo eletto dal popolo che è circondato da una tecnostruttura e da uno staff di sua scelta, una cupola ampia, pervasiva, importante nell’approntamento delle decisioni. Nella scelta dei tempi di reazione, nel coraggio delle proprie idee, nell’esperienza politica, la vecchiaia può perfino essere un vantaggio. Reagan, che ebbe l’Alzheimer poco dopo la sua uscita dalla Casa Bianca dopo il secondo mandato (“E’ magnifico, disse, si incontra un sacco di gente nuova tutti i giorni”), in campagna elettorale aveva detto che non avrebbe mai approfittato come argomento polemico della giovane età e dell’inesperienza del suo competitore Walter Mondale, che sconfisse a valanga.
Resto del parere che un colpo di scena farebbe bene ai democratici americani, visto come si sono messe le cose. Ma dovrebbe essere appunto un colpo, teatro puro, uno scarto, una prova di fantasia politica, una pesca nello star system per una immagine forte e definitiva. Se non ne esistano le premesse, viva la vecchiaia. Anche quella di Biden, che per quanto rimbambito in effigie televisiva e in comportamenti corporali e gaffe in carne e ossa non è un primitivo, un bad boy, un bugiardo autoritario con le mani piccole invece che con le gambe corte.