L'età dell'America

Il Partito democratico vuole liberarsi di Biden un morso alla volta

Paola Peduzzi

Il comitato unBiden, quello per testare la popolarità di Kamala Harris, i tanti fondi congelati e le due settimane in cui il panico si è trasformato in ferocia

Negli ultimi tre giorni, l’inflazione americana è scesa al 3 per cento, la Nato ha aperto una strada “irreversibile” per l’Ucraina nel consesso occidentale e studiato meccanismi per evitare che l’Alleanza possa essere boicottata da dentro, da Donald Trump, che valuta di non condividere più informazioni sensibili con gli europei, tranne che con l’ungherese, si presume. Ma nulla conta, perché s’è aperta una falla nella Casa Bianca, il presidente Joe Biden è sotto osservazione costante e impietosa: non è più adatto, in quanto vecchio e invecchiato troppo velocemente, a ricandidarsi per un secondo mandato. Soprattutto non c’è prova che possa fornire, che sia un’intervista o una conferenza stampa, che sia considerata all’altezza del compito che ha: battere Trump una seconda volta.

I più feroci sono i democratici, i compagni di partito, la famiglia politica, che se lo sbocconcellano giorno dopo giorno, dal 27 giugno, la sera del dibattito fatale, senza sosta e, quel che è peggio, senza un piano alternativo e condiviso. Il panico è iniziato appena s’è chiuso il dibattito, con le prime dichiarazioni dei democratici (il primissimo è stato David Axelrod, che è un obamiano e questa appartenenza non sembra più solo un’etichetta, ma la maglia di una squadra rivale): in queste condizioni Biden non può ricandidarsi. Il panico c’è stato anche nell’entourage del presidente, tra i fedelissimi che lo avevano preparato per il dibattito (sbagliando la tattica) e che per qualche inspiegabile ragione non avevano previsto, negli scenari possibili, quello peggiore ma non il più improbabile, cioè: va tutto storto. Il panico dei democratici fuori dalla Casa Bianca e quello dentro ha creato – e continua ad alimentare – una dinamica cannibale, ferocissima ed esplicita.

Cosa c’è di peggio di un dibattito andato malissimo? Questo, il Partito del presidente che si lancia in una campagna non coordinata per “unBiden” la corsa elettorale, fatta di: esponenti politici che dicono che con Biden la sconfitta a novembre è assicurata; media storicamente non ostili che si intestano la battaglia per liberare l’America da Biden, a partire dal New York Times che ha schierato tutti gli editorialisti, i direttori e i reporter contro il presidente, in nome della salvezza della democrazia americana; fondi dei donors congelati; e infine indiscrezioni su indiscrezioni provenienti dalla stessa Casa Bianca, il che vuol dire che pure la macchina presidenziale è andata fuori controllo. Nei memoir che usciranno tra qualche anno di chi è stato testimone di questa isteria selvaggia scopriremo com’è che è crollato tutto nel giro di due settimane, chi era pronto ad azzannare, chi ha avuto l’occasione e non l’ha sprecata, chi pensava che non lo avrebbe mai fatto e invece poi sì.

Oggi vediamo soltanto i morsi, anche quelli dei donors che congelano fino a 90 milioni di dollari finché resta Biden,  li contiamo (sono decine), li classifichiamo: quale ha fatto più male? Oggi, assieme ai fondi sospesi, in alto c’è l’editoriale di George Clooney, uscito sul New York Times con il tempismo delle congiure perfette, ché era in corso un vertice della Nato decisivo più per le sorti del mondo che per quelle di Biden, e con il sospetto della manina obamiana dietro che fa un male terribile. L’ex presidente Obama era alla cena di raccolta fondi raccontata da Clooney in cui Biden stava come stava al dibattito, cioè male: Obama non avrebbe incoraggiato Clooney ma non lo ha nemmeno fermato. Più o meno nello stesso momento, cioè sempre nel giorno della Nato, c’è stato anche l’intervento di Nancy Pelosi, storica speaker democratica del Congresso, di due anni più anziana del presidente ma più lucida e più scattante, che ha detto: la decisione spetta a Biden, gli vogliamo bene e lo rispettiamo grandemente, ma deve decidere e deve farlo in fretta. Mike Allen nella sua newsletter del sito Axios ha descritto gli addendi della campagna “unBiden”: commentatori cooptati alla causa + gli Obama + i Clinton + Pelosi + i  leader democratici alla Camera e al Senato: il primo, Hakeem Jeffries, non avrebbe dato il suo sostegno a Biden in una riunione avvenuta giovedì sera. Come ha detto James Carville, stratega del clintonismo, il silenzio “urla” e vale come assenso.

Molti sostengono che il problema non sia il Partito democratico inferocito, ma Biden che si è incaponito. Lo descrivono come un vecchietto capriccioso che non si accorge di aver fatto il suo tempo, ma questa è un’analisi un po’ sbrigativa: il presidente è per sua natura portato alla resistenza, ha l’istinto novecentesco al comeback kid, si cade e ci si rialza, e non soltanto perché facendo politica da decenni ha avuto molte dimostrazioni di questa teoria, ma anche perché è un uomo che ha perso, il suo primo giorno di lavoro da politico, la moglie e la figlia e che poi ne ha seppellito un altro, di figlio. E’ l’umanità di Biden, questa, e poi c’è l’esercizio del potere, ché il presidente non è un nonnino innocuo, e già dal 2020 lavora per questa rielezione, togliendo di mezzo chiunque potesse emergere come un rivale, a partire ovviamente da Kamala Harris, che di certo brillava di più come simbolo che come vicepresidente, ma che è anche stata messa a gestire dossier ingestibili, tra Covid e immigrazione.
Nella conferenza stampa dopo il vertice della Nato, quella in cui ha chiamato Volodymyr Zelensky “Putin” (ma per fortuna Zelensky ha la prontezza degli artisti e lo ha salvato) e ha chiamato la sua vice “vicepresidente Trump”, Biden ha spiegato nei dettagli i piani della Nato e sul suo futuro ha detto: “Se i miei mi dicono che non posso vincere, ci ripenserò. Ma per ora non me l’hanno detto”. I suoi hanno iniziato a testare l’eventuale candidatura di Kamala Harris, il comitato “unBiden” gli è entrato in casa: si spera che oltre alla furia dei morsi, ora si pensi anche a evitare la continua umiliazione, e che oltre a un’alternativa si possa aspirare anche a un’uscita dignitosa. Non perché Biden è vecchio, ma perché un presidente così non ci sarà più – questo vale per gli americani ma pure per gli europei in guerra, cioè noi – e pure perché è davvero, finora, l’unico che ha battuto Trump.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi