dopo Butler
Donald Trump ora come Theodore Roosevelt: un'icona imbattibile
Gli spari di Butler danno alla campagna elettorale una traiettoria nuova. L'ex presidente può passare dal tono di voce del perseguitato politico a quello del martire
Gli hanno sparato come a Theodore Roosevelt, un presidente a cui già si ispirava, e Donald Trump ha reagito come avrebbe fatto un secolo fa il suo beniamino. “Ci vuole più che una pallottola per uccidere Bull Moose”, disse Roosevelt, citando l’alce che aveva scelto come soprannome e simbolo del suo partito, quando fu ferito nel 1912 sul palco di un comizio a Milwaukee: proprio la città dove oggi si apre la convention repubblicana che incoronerà Trump. Anche allora la storia era quella di un ex presidente che cercava di tornare alla Casa Bianca. Roosevelt rimase sul palco con un proiettile in petto e finì il comizio prima di andare in ospedale, rafforzando il personaggio quasi mitologico che già aveva costruito.
Trump esce dall’assassinio mancato a Butler, in Pennsylvania, con la forza iconica di quelle immagini con il volto rigato di sangue, il pugno alzato, l’incitamento alla folla a “combattere” che lo rendono ora una figura gigantesca nell’immaginario collettivo. E politicamente trasformano un candidato che era in testa nei sondaggi, in uno quasi impossibile da battere per il fragile ottantantunne Joe Biden. E forse anche per un sostituto di Biden.
Il dibattito ad Atlanta aveva già cambiato questa campagna elettorale. Gli spari di Butler le imprimono una traiettoria nuova, stravolgono il racconto, aprono scenari diversi. Permettono a Trump di passare dal tono di voce del perseguitato politico a quello del martire, con accenni messianici: “E’ stato solo Dio a impedire che accadesse l’impensabile”, ha scritto l’ex presidente su Truth.
Che sia la violenza a cambiare il corso della storia americana non è certo una novità. I delitti politici fanno parte del racconto dei due secoli e mezzo di vicissitudini degli Stati Uniti. Quattro presidenti su quarantasei sono stati uccisi mentre erano in carica: Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy. Uno, Ronald Reagan, si salvò d’un soffio con un proiettile in pancia. Il primo tentativo di far fuori un presidente risale al 1835 e riguardò Andrew Jackson, che non è passato alla storia come prima vittima solo perché le armi dell’imbianchino Richard Lawrence si incepparono entrambe. E visto che Lawrence aveva scelto come vittima il presidente più irascibile che l’America abbia avuto prima di Roosevelt e Trump, tutto quello che ne ricavò fu di essere mandato all’ospedale dallo stesso Jackson, che lo massacrò con il bastone da passeggio.
Anche i candidati presidenti sono stati spesso bersagli, prima e dopo l’avventura del partito dell’alce di Roosevelt (che fu sconfitto, va ricordato, dal democratico Woodrow Wilson). Il caso più recente fino a oggi era quello di George Wallace, ferito nel 1972 e ridotto su una sedia a rotelle. Quattro anni prima era stato ucciso Robert F. Kennedy, in corsa per la Casa Bianca in un anno drammatico per i democratici, che culminò – come stavolta – in una tesa convention a Chicago.
Ma le armi sono state usate anche contro membri del Congresso e politici locali, così come contro personaggi pubblici presi di mira da fanatici o pazzi: Martin Luther King, Malcom X, John Lennon, Salman Rushdie. Che qualcosa di tragico potesse accadere anche in questo ciclo elettorale lo temevano in molti, vedendo il deterioramento del dibattito politico. In questi mesi, per esempio, sono stati sventati almeno due attentati contro giudici della Corte Suprema, presi di mira per le loro sentenze.
Gli spari di Butler riapriranno l’eterno dibattito sulla libertà di girare armati, anche alla luce del fatto che il ventenne Thomas Matthew Crooks ha usato la più iconica delle armi americane: quel fucile semiautomatico AR-15 che ha “firmato” sette delle dieci peggiori stragi degli ultimi decenni e che secondo il Washington Post sarebbe presente nelle case di circa 16 milioni di americani.
Adesso va misurato l’“effetto Butler” sul voto. Il sondaggista Frank Luntz prevede un’ondata di simpatia, solidarietà, rabbia e mobilitazione a favore dell’ex presidente. Trump, secondo Luntz, si è guadagnato la certezza “che ogni suo elettore stavolta andrà a votare: Biden non può certo contare su qualcosa di simile”.