la forza del simbolo
E adesso faremo i conti con il pugno e il sangue di Trump
Dopo il vile tentativo di assassinio, Trump è un eroe, un superman della convinzione e della lotta, un aspirante devastatore della democrazia Usa potenzialmente imbattibile
Dopo quel pugno e quel grido “Fight!” stagliato nel sangue su una bandiera americana comincia un’altra storia. Evidente. Trump non è meno losco politicamente e personalmente per essere stato oggetto di un vile tentativo di assassinio, nella peggiore tradizione della politica americana da Lincoln ai Kennedy, ma ora è un eroe, un superman della convinzione e della lotta, un aspirante devastatore della democrazia Usa potenzialmente imbattibile. Il sentimento di compassione e di solidarietà è autentico, ci riguarda tutti, anche i suoi nemici giurati. La politica è il più crudele e gran teatro del mondo, perfino meglio di Taylor Swift, e quando diventa Grand Guignol, quando si tinge di violenza e di sangue, suscita passioni non forti, fortissime, e scavalca ogni problema ogni argomento ogni ragione.
Dicono che è un genio della comunicazione, The Donald, e questo lo sapevamo anche prima del pugno. La sua comunicazione di estremo successo è infarcita di menzogna, di provocazione, di deplorevoli assalti contro donne, handicappati, avversari. Ma il pugno con la riga di sangue sulla guancia va molto oltre la bugia, esibisce un cuore di verità drammatico, anche tragico, con il quale faremo i conti per decenni. C’è sovrana bellezza nel combattimento personale, nella sua incarnazione per conto di grandi folle osannanti, sono cose che vanno al di là, e molto, di un programma, di una cultura ultrapopulista, di un disprezzo per le regole, di una tendenza a fare degli avversari nemici accanendosi su di loro senza pietà.
L’eroismo dell’immagine brucia i dibattiti sulla vecchiaia di Biden, sulla politica di resistenza dell’occidente alle autocrazie, sull’atlantismo, sulla Nato, sul sostegno all’Ucraina, sull’inflazione e la reindustrializzazione, sui forgotten men, sui risultati di una presidenza e sulla minaccia di un ritorno: l’eroismo dell’immagine divora le remore, è come un fulmine in movimento che spacca l’anima di un paese e del mondo che lo guarda atterrito.
Trump aveva dalla sua, contro tutti i giudizi legittimi di negazione della sua idoneità a governare gli Stati Uniti, contro l’esperienza, il sense of humour, la grimace, la grintaccia da canaglia che ce la fa, la rappresentanza ricca, lussuosa, dei deplorables, l’attitudine di uno che se scende nella Quinta strada e stende un passante a colpi di rivoltella non perde, parole sue, il proprio prestigio agli occhi dei fans. Ora con quel colpo di fucile e con quel pugno è una stella lucente, un eroe delle sue idee, per quanto oscene, un candidato vero e potente oltre l’immaginazione, alla quale l’immagine del pugno levato e del grido e del sangue aggiunge tutto quello che c’era da aggiungere, un sentore di convinzione e verità.
Con la sua personalità travolgente, indisponente, perfino criminale, Trump ha determinato e disegnato il campo dell’eccezione, di cui l’America aveva evidentemente un bisogno disperato nell’era del wokismo e del conformismo al potere, e se ne è fatto dominatore assoluto. Mancava una prova provata del suo senso popolare genuino, realista e fantastico, simbolico alla massima potenza, cinematografico, di tutta la sua incredibile esperienza violenta e distruttiva. E’ arrivata con quelle immagini in movimento del comizio in Pennsylvania e con quella fotografia destinata all’immortalità. Faremo i conti, e che conti, con il simbolo, che è molto più della sola carne.