Il colloquio
“Ecco i veri ingredienti della crisi francese” secondo lo storico Bensoussan
"Oggi, il divario non è tanto tra destra e sinistra, quanto tra la Francia dei centri urbani, le classi lavoratrici, impoverite nonostante l’enorme spesa sociale, e le classi medie", dice lo storico di origini marocchine
Parigi. Nemmeno il profilo conciliante di Laurence Tubiana, diplomatica e accademica di lungo corso che ha negoziato gli storici Accordi di Parigi sul clima, è riuscito a mettere d’accordo le sinistre che formano il Nuovo fronte popolare (Nfp) sul nome del primo ministro da proporre al presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. E’ una proposta “non seria”, ha reagito il coordinatore nazionale della France insoumise (Lfi), Manuel Bompard, secondo cui la candidatura di Tubiana farebbe “rientrare i macroniani dalla finestra”. “Forse Lfi preferisce stare all’opposizione”, ha tuonato il leader dei comunisti, Fabien Roussel. “La vecchia coalizione, Nupes, si è sciolta dopo poco più di un anno: perché ci si aspetta che queste famiglie di sinistra ottengano in quattro giorni ciò che non sono riuscite a fare in quasi due anni?”, dice al Foglio lo storico francese Georges Bensoussan. E anche se alla fine riuscissero a trovare un nome e a salire al governo, Nfp rischierebbe comunque di essere “minoritario nel paese”. “Nel 2024, la sinistra francese ha ottenuto meno voti rispetto al 1993, che fu comunque un anno di gravi sconfitte. Tra il 1993 e il 2024, il corpo elettorale è aumentato di 9 milioni di elettori. Il 2024 segna quindi una batosta storica per la gauche, che viene stranamente presentata come una vittoria”, spiega al Foglio Bensoussan.
Il programma economico di Nfp sta suscitando molte inquietudini nel mondo del business francese. Secondo Patrick Martin, presidente del Medef, la Confindustria francese, se le misure di Mélenchon e dei suoi compagni di coalizione venissero applicate “sarebbe un colpo fatale per l’economia francese”. “Il programma economico di Nfp si tradurrà in una stangata fiscale in un paese dove la tassazione è già la più alta del mondo. Viviamo in un mondo aperto, il che significa che le fortune, le grandi e probabilmente anche le medie fortune, potrebbero fuggire”, dice al Foglio Bensoussan. A questo, secondo lo storico francese, si aggiunge la strategia di Mélenchon, che sta etnicizzando il voto facendo leva sull’antisemitismo diffuso nelle periferie musulmane. “E’ una strategia deliberata per ottenere i voti che gli sono mancati nel 2022 per raggiungere il secondo turno delle elezioni presidenziali. Ciò spiega l’ossessione per Gaza e ‘la Palestina’ durante la campagna elettorale. In Francia, per la prima volta dal 1945, c’è stato un voto comunitario: il 62 per cento dei musulmani ha votato per Mélenchon. Le periferie islamizzate, che fino ad ora avevano votato poco, hanno iniziato a votare in massa. La France insoumise ha adottato una strategia di rottura che esaspera le passioni dei francesi e li spinge in una logica di guerra civile”.
Ieri Macron ha accettato le dimissioni di Gabriel Attal dal suo incarico di primo ministro. Attal, neo capogruppo di Renaissance all’Assemblea nazionale, si è detto “riconoscente” verso l’inquilino dell’Eliseo. “Attal non ha perso, anzi, ha mostrato delle vere e proprie qualità nonostante il trattamento violento che gli è stato riservato. Dall’altro lato, il giovane presidente del Rassemblement national (Rn), Jordan Bardella, ha fatto quello che poteva con un partito dove i candidati dovevano essere trovati all’ultimo minuto. Ci sono stati alcuni errori, oltre alla presenza di candidati non chiari sulle questioni del razzismo e dell’antisemitismo. Se il Rn non si libera di queste persone, la tattica del ‘Fronte repubblicano’ continuerà a funzionare contro di esso”, sottolinea Bensoussan. Molti osservatori a Parigi affermano che l’esito delle legislative ha segnato la fine del macronismo. “Il ‘macronismo’ nel 2017 è stato un tentativo della borghesia (sia di destra che di sinistra) di mantenere il potere di fronte a un Partito socialista indebolito e a una destra impantanata nelle sue divisioni. La borghesia metropolitana, che si è riconosciuta nel ‘voto Macron’, è riuscita ad arrivare al potere stigmatizzando le classi lavoratrici, accusate di aver votato ‘male’ e di essere scivolate verso l’estrema destra”, secondo Bensoussan. “Oggi, il divario non è tanto tra destra e sinistra, quanto tra la Francia dei centri urbani, che riunisce una popolazione istruita, economicamente agiata, europeista e aperta agli immigrati che forniscono loro servizi preziosi, e le classi lavoratrici, impoverite nonostante l’enorme spesa sociale, e le classi medie, per le quali l’ascensore sociale funziona meno bene rispetto al passato. Questi sono i veri ingredienti della crisi francese”.