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a londra

A scuola dodici ore al giorno, senza cellulari. E i ragazzi? Stanno bene

Mario Leone

A Londra c'è un istituto d’ispirazione religiosa che da qualche mese ha sperimentato la giornata scolastica lunga. Il primo obiettivo è quello di ricostruire la socialità perduta

Ci troviamo al 75 St Charles Square, quartiere a ovest di Londra dove negli anni Sessanta si sono consumate le rivolte razziali sorte nella vicina Notting Hill. Una zona residenziale dove sorge l’All Saints Catholic College, istituto che accoglie studenti dagli undici ai sedici anni. Una scuola d’ispirazione religiosa che da qualche mese ha sperimentato la giornata scolastica di dodici ore, dal lunedì al giovedì, durante la quale gli studenti non possono mai avere i cellulari. Una possibilità accolta con interesse dalle famiglie soprattutto dopo i dati allarmanti emersi nel Regno Unito: il 97 per cento dei bambini ha un cellulare entro i 12 anni; i casi di bullismo si perpetuano attraverso social e app di messaggistica istantanea, senza dimenticare il monito dell’Unesco sui danni da esposizione eccessiva agli schermi. 


Il Guardian ha raccontato l’iniziativa dedicando alcuni articoli al tema. In linea generale, la scuola cerca così di ricreare un clima familiare e fortemente cooperativo tra gli studenti. I 117 ragazzi “7 am-7 pm” (così sono soprannominati quelli che partecipano alla sperimentazione) iniziano la giornata insieme, consumando una ricca colazione, finita la quale possono giocare a “Uno” o divertirsi a costruire i mattoncini di Jenga. Le lezioni iniziano alle 8.30 e il tempo scuola termina alle 15.15. Gli studenti che fanno le dodici ore svolgono i compiti, poi praticano sport di squadra con insegnanti specializzati e frequentano un corso di arte e ceramica. Il progetto ha come primo obiettivo quello di ricostruire la socialità perduta: per fare questo, grande importanza hanno anche i pasti, consumati con estrema calma per abituarli a parlare e mangiare lentamente. La sperimentazione, conclusa nei primi giorni di luglio, è stata monitorata attraverso una serie di questionari anonimi e dialoghi facoltativi con Mr. Andrew O’Neill, preside dell’istituto, dai quali è emerso il benessere dei ragazzi, il desiderio di ampliare questa modalità di vita scolastica e la scoperta di non soffrire più di tanto la mancanza del cellulare. Permangono alcuni dubbi. La sperimentazione è durata pochi mesi, un periodo troppo breve per rilevare dati oggettivi che possano definire con precisione i punti positivi e soprattutto le criticità della proposta: i ragazzi passano praticamente più ore a scuola che in famiglia. Lo studio a scuola non favorisce un’autonomia che si impara lavorando da soli. Vietare il cellulare per dodici ore non significa educare i ragazzi a un uso consapevole anche perché i ragazzi dal venerdì al lunedì sono a casa.  In questo senso, l’azione della famiglia è fondamentale e non potrà mai essere sostituita dalla scuola. 


Il preside O’Neill crede molto in questo progetto e riporta i riscontri positivi degli studenti e delle famiglie che vedono i loro figli cambiati e molto più disponibili a casa. “Voglio restituire ai bambini l’infanzia che hanno perso, non solo ridurre la dipendenza da cellulare”, dice O’Neill: un obiettivo ambizioso, difficile anche da monitorare. Intanto dalle nostre parti si discute della circolare del ministro Valditara sull’uso del cellulare e del diario scolastico. Il nostro paese, compresa la scuola, vive di spot, di uscite “a sensazione”. Mentre si spinge per la didattica digitale, si vietano i cellulari senza offrire una regolamentazione chiara in materia, gettando di fatto i presidi (già ansiosi di loro) in uno stato di confusione sulle responsabilità dei cellulari sequestrati in caso di furto o danno accidentale. Tante chiacchiere per un tema forse inarrestabile (togliere i cellulari suona anche a chi scrive quasi anacronistico) se non attraverso un’unica arma: una persona che sappia affascinare più di uno schermo touch screen.

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