La convention
Biden sotto pressione parla della sua salute. Trump gongola: il partito repubblicano è tutto suo
Gli ex rivali interni s’inchinano davanti al candidato, e lui gongola. Non ha ancora vinto le elezioni ma ha vinto la lotta dentro al partito. Il GoP, il partito di Reagan, Lincoln e dei Bush non esiste più
Il presidente americano Joe Biden ha detto ieri in un’intervista a Bet News che se dovesse essergli diagnosticata una malattia considererebbe di fare un passo indietro: finora erano i sondaggi che avrebbero potuto condizionarlo. Poche ore dopo è risultato positivo al Covid e ha dovuto interrompere il tour elettorale mentre si trovava in Nevada, a Las Vegas. La sua portavoce, Karine Jean-Pierre, ha parlato di "sintomi lievi", perché Biden "è vaccinato e ha preso il booster". Ma la pressione dei democratici continua e il Covid potrebbe essere il pretesto giusto per chiedere un passo indietro. La sua nomina “virtuale” è stata dilazionata, il senatore Adam Schiff, uno dei democratici di più alto profilo del Congresso, ha detto che deve “passare il testimone”.
Alla convention di Milwaukee invece va in scena l’unità. “Non dovete essere d’accordo al cento per cento con lui per votare Donald Trump, fidatevi di me”, ha detto Nikki Haley, consegnando così al candidato repubblicano i voti di quella fetta di elettori finora scettici.
Trump non ha ancora vinto le elezioni del 2024 – anche se si comporta un po’ come se così fosse, apparendo sul palco della convention come un re che visita le sue truppe – ma ha vinto la lotta dentro al partito. Il GoP, il partito di Reagan, Lincoln e dei Bush non esiste più. Oggi Trump è il Partito repubblicano. Non è questione di unità, come dice Haley, quanto di sottomissione.
Trump in Wisconsin è tutto sommato sobrio, contenuto, con il suo cerottone sull’orecchio, e osserva col sorrisetto le persone che hanno provato a mettergli i bastoni tra le ruote, chinarsi verso il suo palco. Anche il governatore della Florida Ron DeSantis è stato fischiato. Lui che doveva essere DeFuture, ha elogiato il boss, e dicono che non ci sia niente che faccia gongolare Trump come vedere un ex rivale sconfitto che fa il ruffiano. Trump li ha fagocitati tutti, tutti quelli che lo attaccavano e insultavano a partire dal 2016, compresi i senatori Ted Cruz e Marco Rubio, che in passato avevano provato a sfidarlo, compreso J. D. Vance, il nuovo candidato vice, che lo paragonava a Hitler (“mi fa piacere che lo prendi come un complimento”, dice una vignetta del New Yorker). E adesso tutti loro urlano “Four more years!”, altri quattro anni alla Casa Bianca. E pensare che alla fine del 2022, il partito sembrava iniziare a rivoltarsi contro Trump dopo la terribile sconfitta alle elezioni di metà mandato. Anche FoxNews, il megafono del conservatorismo americano, iniziava a parlarne male, a puntare su DeSantis, i rimasugli neocon a puntare su Haley. Con i processi il partito ha costruito un fortino intorno alla vittima. E poi è arrivato il tentato assassinio. E ora tra la folla si vedono fan con finti cerotti sull’orecchio.
In questa convention di cantanti country e di parenti adoranti e di ex ragazze di Kanye West e di gente che ha partecipato all’attacco al Campidoglio, mancano le vecchie guardie del partito. Mancano ovviamente i Bush, che da anni si tengono alla larga da Trump, manca Mitt Romney, che sfidò Barack Obama alle presidenziali, mancano i falchi che dicono che Joe Biden non sta aiutando abbastanza l’Ucraina, mancano i neocon e i liberali, manca Clint Eastwood. Al loro posto ci sono i nuovi volti dell’alt right, prodotti del post Tea Party e dello stratega Steve Bannon (ora in carcere). Persone come Tucker Carlson, presentatore putiniano cacciato via dalla Fox da Rupert Murdoch. E persone come la deputata pretoriana Marjorie Taylor Green, o il deputato Matt Gaetz, che ha detto al vecchio speaker Kevin McCarthy il secondo giorno della convention: “Se sali su quel palco ti cacciano a suon di fischi” (a ottobre Gaetz aveva guidato il gruppo di membri del congresso Maga che aveva mandato via McCarthy, colpevole di essere troppo morbido con i democratici, per sostituirlo con Mike Johnson).
Una volta la convention serviva al passaggio di testimone, a costruire una piattaforma comune tra le varie anime del partito. Il programma di quest’anno è: Donald Trump. O con lui o contro di lui, e quindi fuori i ribelli dalla convention. Il tema di lunedì è stato “Make America Wealthy Once Again”, martedì "Make America Safe Again", e quindi immigrazione, e mercoledì “Make America Strong Again”, cioè politica estera. Lo slogan da cappellino rosso è il template del programma del partito che al momento ha la maggioranza alla Camera, che spinge un isolazionismo geopolitico che fa male al mondo. Free market, famiglia e sogno americano reaganiano sono stati sostituiti da antiglobalismo, antiecologismo e anti immigrazione. Bob Dole nel ’96 accettò la nomination dichiarandosi “l’uomo più ottimista d’America”, oggi l’atteggiamento è profondamente pessimista.
“Penso che siamo davanti a un attacco frontale al conservatorismo”, ha detto Marc Short, che è stato chief of staff di Mike Pence, l’ex vicepresidente quasi vittima della folla del 6 gennaio, anche lui grande assente alla convention. Temi come il matrimonio, la famiglia e l’economia sono spariti dal programma, dice Short. Candidato alle primarie repubblicane negli anni di Romney, l’ex senatore Rick Santorum ha detto che quella della convention è una piattaforma da “Tory inglesi. Non è una piattaforma conservatrice”. Basta leggere “Elegia americana”, bestseller del candidato vicepresidente. Il terzo giorno è quello in cui l’America ha potuto conoscere J. D. Vance, il primo millennial in un ticket presidenziale, il cinico intellettuale diventato più trumpiano del re.